Il Blog di Mangiare Bene

Eventi Golosi

Identità Golose 2023: primo giorno

Evviva! Con lo slogan "Signore e Signori, la rivoluzione è servita” Identità Golose è tornata in presenza e davvero alla grande con questo 18° convegno dopo le cancellature, causa covid, degli anni 2020 e 2021. Cancellatura per modo di dire perché Paolo Marchi giornalista e fondatore del marchio nel 2006 con Claudio Ceroni presidente di MAGENTAbureau hanno fatto il possibile, e forse in alcuni casi anche i miracoli,  per mantenere vivi i contatti con i protagonisti dell’intero mondo del cibo in sofferenza. Mondo che sin dall’inizio aveva avuto fiducia nell’opera più che mai costruttiva di Identità Golose. Insomma, il giornalista e il manager hanno portato nel corso di questi lunghi anni tutto il mondo del cibo in Italia. E a loro volta sono andati nel mondo facendo cultura, facendo cucina, facendo squadra. E, tutti uniti, hanno vinto. Ma ancora tutti uniti occorre affrontare oggi  il mondo che è cambiato. E continua a cambiare per il mutamento climatico in atto e non solo.  I mondi esplorati da Identità Golose 2023 sono tanti  e tra le molte rivoluzioni in corso come quella importantissima della filiera corta, come quella della necessaria connessione tra la città e la campagna, come quella vitale di una casa comune per la ristorazione  tutta e  molto altro. Così Mangiarebene offre ai suoi fedeli lettori il resoconto di quanto gli illustri relatori hanno spiegato e raccomandato al riguardo: noi dobbiamo solo prendere il meglio del passato e portarlo nel futuro che è già qui. Futuro dunque in piena evoluzione. 

QUI il secondo giorno
QUI il terzo giorno
QUI in giro per Identità Golose


A sinistra, Claudio Ceroni, dopo i rituali saluti al pubblico e  i ringraziamenti agli sponsor lascia la parola a Paolo Marchi che inizia lanciando con fermezza il suo attuale credo: "Rivoluzione è coraggio, non avere paura dei cambiamenti", mentre sullo schermo appare la sua foto del 2006 circondato dagli, allora, giovani e sbarbati chef Moreno Cedroni, Davide Scabin, Massimo Bottura, Mauro Uliassi, Carlo Cracco e Pietro Leemann (manca Massimiliano Alajmo  andato via in anticipo) che saranno i rivoluzionari chef del decennio Duemila. E, sul megaschermo, anche le immagini selezionate di 40 piatti “rivoluzione” capitanati dal  Raviolo aperto di Gualtiero Marchesi "perché per parlare di futuro bisogna conoscere il passato". Sedici anni dopo, ecco ancora Paolo Marchi ritratto lo scorso  novembre al Basque Culinary Center di San Sebastiàn con i cuochi che rappresentano il futuro della cucina italiana. Da sinistra; Gianluca Gorini, Luigi Dattilo, Paolo Marchi, Antonia Klugmann, Joxe Mari Aizega, direttore della scuola, Paolo Airaudo, Andrea Tortora, Richard Abou Zhaki e Pierpaolo Ferrauti, Franco Pepe.

Davide Rampello: l'autorevole voce della Storia
"Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose". Inizia con questa frase di Albert Einstein la dotta lezione  di Davide Rampello, professore universitario, autore televisivo, ideatore del Padiglione Zero di Expo Milano. Prosegue ricordando ( e questo particolare lo dobbiamo tenere bene a mente)  che la parola rivoluzione nasce dal termine latino "revolvere" ovvero riavvolgere. "È come il movimento terrestre che torna su se stesso, ma ruota anche intorno al sole in un continuo e costante girare, chiamato appunto moto di rivoluzione”. In Italia, la rivoluzione in cucina parte dai grandi scalchi protagonisti del nostro Rinascimento. Per la maggior parte erano figli cadetti di famiglie nobili, perfetti maestri di cerimonia che si occupavano anche di tutta la messa in scena dei banchetti e di promuovere i prodotti del territorio. Fra i protagonisti il più "rivoluzionario" fu Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Carlo V e di due papi, Pio IV e Pio V, autore del più vasto trattato di cucina del suo secolo dove si trova anche una citazione del Parmigiano, considerato il miglior formaggio al mondo. Un' altra rivoluzionaria è senza dubbio Caterina de' Medici che, andata in sposa a Enrico di Orleans, arriva in Francia portandosi dietro i suoi cuochi. E' rivoluzionaria perché sconvolge le usanze della corte facendo apparecchiare la tavola, annullando la consuetudine di servire tutte le portate insieme, introducendo una sequenza nei piatti e, ambasciatrice del naturale, andando a comprare personalmente al mercato i prodotti necessari per le sue pietanze. "Era solita andarci indossando una fascia blu che ispirerà poi il nome dell'associazione Cordon Bleu". Davide Rampello conclude il suo colto intervento affermando che  "la rivoluzione  nasce da una visione rinnovata di noi stessi e che tutto deve essere accompagnato dalla conoscenza".

Harold Mc Gee: l'importanza dell' olfatto
Questo illustre professore americano, considerato il più famoso divulgatore di scienza e gastronomia al mondo, nel suo nuovo libro "Nose Dive: A Field Guide to the World's Smells" parla della importanza dell'olfatto quando si mangia:"un buon sapore in un piatto deriva soprattutto dal profumo". Ma, si domanda, "da dove provengono, da quali meccanismi sono innescate, le sensazioni di appagamento che proviamo quando mangiamo qualcosa che ci piace". Studiando, per oltre dieci anni, come l'olfatto entra in questi processi, ha dedotto che già nella fase di inspirazione e di espirazione si raccolgono  informazioni sensoriali  che ci fanno riconoscere meglio gli odori. Prosegue spiegando che nel cervello abbiamo una specie di data base che dobbiamo sempre arricchire immagazzinando nuovi odori perché i profumi e gli odori sono in grado di scatenare in modo semplice e naturale ricordi ed emozioni legati alla nostra memoria. Alcuni chef hanno cercato di proporre ai loro clienti esperienze multisensoriali dove aromi e profumi giocano un ruolo fondamentale. Il problema è che l'odore non si può controllare, le molecole rimangono nell' aria e il rischio di confondere i sensi è forte. Alla domanda su quale sia il suo profumo preferito, senza esitare, l’illustre professore ha risposto "quello dell' incenso proveniente dall'albero del Agarwood. Eparadisiaco".

Andoni Luis Aduriz: chi non si preoccupa del suo futuro non ha futuro
Paolo Marchi, nell' introdurre il conosciuto chef basco, ricorda come il suo intervento abbia incantato le platea fin dalla prima edizione di Identità Golose nel 2006..
Pochi chef hanno rivoluzionato come lui il mondo gastronomico. Il suo ristorante Mugaritz rimane chiuso per alcuni mesi ogni anno per studiare nuovi piatti e nuovi menu.
Da parte sua lo chef basco ha sottolineato che “la cucina segue i movimenti tellurici che interessano il pianeta, scandendo l’effetto domino planetario che in rapida sequenza ha determinato il Maggio francese (1968), la nascita della Nouvelle cuisine (1972) e dunque l’ingresso di diritto dell’alta cucina basca nell’alta cucina tout court”. Quando ha aperto Il suo Mugaritz 25 anni fa, il menu era assolutamente convenzionale: “una sequenza apparentemente canonica di primi piatti-carne-pesce-formaggio-dessert”. La rivoluzione avviene pochi anni dopo. "Il cambio di paradigma è stato quello delle sottigliezze che in un mondo come il nostro pieno di chiasso e di rumore non vengono considerate un esercizio sovversivo. È un errore. In quel menu non abbiamo fatto altro che togliere gli spazi fra le portate, col risultato che il menu diventa più lungo e più stretto intensificando il dialogo fra i prodotti". Lo chef ha inoltre
affermato che le cose devono avere il sapore di quello che sono. Per esempio la sua cipolla è un modo rivoluzionario di presentare la "soupe à l'oignon" oppure le sue "trompetas elasticas", finferli  proposti in diversa consistenze, una specie di raviolo aperto servito con un ragù di finferli e mandorle, un piatto vegano dalla texture inusuale, un vero concentrato di sapori. Alla fine del suo del suo applauditissimo intervento ha spiegato che "una delle cose che ci differenzia dagli animali è la capacità, tutta umana, di anticipare cose che non esistono, quindi immaginare."


Chicco Cerea e Luca Travaglini di Planet Farms: un felice incontro
Ed ecco sul palco di Identità il tristellato cuoco Chicco Cerea raccontare della  piccola vertical farm costruita nel parco della Cantalupa, dove ha sede il suo ristorante Da Vittorio. E' la prima al mondo per l’alta ristorazione, studiata per fornire allo chef una serie di prodotti, in base alle esigenze del ristorante. Lo affianca  Luca Travaglini, uno dei soci fondatori di Planet Farms, azienda che ha rivoluzionato il concetto di agricoltura convenzionale creando modelli di autosostentamento vegetale che permettono ai ristoranti di mettere nel piatto ingredienti freschissimi a metro 0. Non viene utilizzata la terra e le colture crescono grazie a luce, pochissima acqua (98% in meno), aria e sali minerali, in maniera naturale, senza essere esposte agli stress dovuti a intemperie, eccesso di calore, attacchi di parassiti e con un ettaro di spazio si è in grado di produrre vegetali per 300 ettari. Si ottiene così un prodotto sano, sostenibile e antispreco. Alla Cantalupa vengono coltivati, basilico, menta, baby-leaves e altre varietà di micro ortaggi sulla base delle richieste in continua evoluzione del ristorante. E' una idea rivoluzionaria che permette allo chef di proporre piatti salutari come i tacos di cavolo rapa presentati sul palco farciti con un ceviche di ricciola marinata con soia e agrumi, basilico rosso, nasturzio, bitter melon (cetriolo bitorzoluto). Nella versione vegetariana la ricciola viene sostituita da una crema di avocado. Conclude il suo intervento presentando un sorbetto alle erbe a dimostrazione che anche le verdure stanno entrando nel mondo della pasticceria.

Chefs Table: la rivoluzione in televisione
Si contano nel mondo centinaia di programmi televisivi riguardanti il mondo del cibo. Ma Chef's Table, la serie di documentari di Netflix, ha cambiato il modo di rappresentare il cibo in TV. Sul palco Brian Mc Ginn, autore e produttore esecutivo del programma, e la giornalista americana Faith Willinger, che ha indicato alla produzione i nomi dei protagonisti italiani della serie con quattro degli chef della serie dedicata all' Italia. Per entrambi gli autori il grande successo di questo programma è dovuto al fatto che Chef's Table non parla solo del piatto ma si interessa soprattutto del mondo che circonda lo chef compresa la sua vita personale. "Si arriva alle viscere".  E questa è una vera rivoluzione per i programmi di cucina.
Corrado Assenza, il famoso pasticcere di Noto ricorda il rapporto di amicizia nato fra lui e Brian durante le riprese raccontando un divertente aneddoto: "dopo un anno Brian tornò  per consumare la prima colazione al  suo Caffè Sicilia  ma non trovò posto. "E' tutta colpa tua! gli spiegai". In un anno, grazie al successo mondiale del programma, non c'era un posto libero neanche per l'autore! Dario Cecchini  ricorda che la puntata su di  lui "è stata l’unica della Netflix su un macellaio. Per questo ringrazio Faith, che considero mia mentore, mia sorella di cuore, addirittura l' Indiana Jones della cucina italiana. Il mio ricordo bellissimo di lei risale a quando ero giovane, studiavo veterinaria e dovevo occuparmi della macelleria di famiglia per la malattia dei miei genitori. Ora sono su questo palco e cerco di essere ispirazione per tutti i giovani artigiani". La risposta di Faith : "Dario ha dato visibilità ai macellai e, quando ancora nessuno parlava di questa tipo di artigianalità organizzò un’asta di bistecche alla fiorentina proprio nel periodo della cosiddetta “mucca pazza”. Un' altra testimonianza, quella del pizzaiolo romano Gabriele Bonci: " Anche per me Chef's Table  è stata sicuramente una grande opportunità e, pur se l'incontro mi ha  stravolto ho avuto la possibilità di rimettermi in gioco, A confermarlo interviene Brian Mc Ginn : "la puntata su Bonci è stata tra le più intense: una storia di orgoglio, coraggio e crescita personale", Quanto a Franco Pepe, patron di Pepe in grani a Caiazzo, la sua esperienza televisiva è arrivata in modo prepotente :" però Netflix ha saputo raccontare con delicatezza i miei problemi personali e affettivi derivati purtroppo...dal mio amore per la pizza. Infatti, grazie alle lunghe interviste, gli operatori sono riusciti a tirare fuori il mio tormento, riavvicinandomi alla famiglia e, soprattutto, a saldare un debito morale che avevo con mio padre".
Nella foto da sinistra Corrado Assenza, Franco Pepe, Dario Cecchini, Gabriele Bonci, Brian McGinn, Faith Willinger Niccolò Vecchia moderatore dell' incontro.


La rivoluzione attraverso il casoncello
Ed eccoci arrivati al divertente derby sulla paternità del casoncello. A giocarlo il bergamasco Chicco Cerea e il bresciano Alberto Gipponi. Ma non ci saranno vincitori perché Bergamo e Brescia'in questa occasione, sono una squadra sola, quella della Capitale italiana della cultura per il 2023.  "Ci contendiamo il casoncello da una vita – racconta  Chicco Cerea.  Abbiamo un’infinità di ricette differenti. Ogni famiglia ha la sua. Che, ovviamente, è sempre la più buona di tutte." Comunque racconta Chicco " i modi di fare questa pasta ripiena sono tanti, tanti quanto la tipologia dei ripieni: c’è quello di montagna, fatto solo con pane, formaggio locale, erbe… molto povero. Scendendo a valle, c’è l’introduzione del manzo e del maiale: a Bergamo si usa la carne, mentre nel bresciano utilizzano più i salumi. In pianura, nella bassa, troviamo il casoncello in versione più dolce, con amaretto, uvetta, pera, mandorle che  in passato  zuccheravano per renderlo più goloso". Stesso discorso si applica all' impasto che può essere fatto solo d'acqua e farina o anche con uova, arrivando fino a dieci. In tutti i casi il casoncello era ed è un piatto di festa. Alberto Gipponi si trova d'accordo con quanto detto dal suo amico Chicco, aggiunge solo che " la radice del termine pasta arriva dal sanscrito, e significa prendersi cura. E poi c’è il ripieno che nasconde il buono e il bello".
Entrambi passano  ai fornelli per cucinare le loro ricette. Più classica la versione di Chicco Cerea che farcisce i casoncelli con un ripieno di carne di  manzo, pasta di salsiccia, uova, pane, formaggio, uvetta, pere e amaretti.  Questi casoncelli, dalla tipica forma di mezzaluna, hanno una “fossetta” centrale per raccogliere bene il condimento che, nel caso di Chicco, è a base di burro nociola, salvia, pancetta e formaggio. Più innovativa, la ricetta di Alberto Gipponi che ha voluto fare un omaggio proprio alla famiglia Cerea, rivistando la loro ricetta del Baccalà alla Vittorio . In pratica, il baccalà originario del ripieno è sostituito da gamberi di fiume insaporiti con cipolla e panna acida. Quindi i casoncelli vengono cotti in acqua, poi passati alla piastra e serviti con un intingolo ottenuto dai carapaci dei gamberi. A finire un estratto di tarassaco ossidato, che conferisce una nota di amaro e una spolverata di farina di mais.


Fatma Binta: la cuoca nomade
Nata in Sierra Leone, vive ad Accra capitale del Ghana. E' la voce delle donne fulani, una etnia nomade composta da milioni di persone, lei compresa. Oltre a far conoscere la cucina  fulani col progetto Dine on a Mat  un ristorante "pop-up" nomade in tre continenti, porta avanti con grande impegno la Fulani Kitchen Foundation con l'intento di aiutare a rendere economicamente più indipendenti le donne fulani trasformando in fonte di reddito il fonio un super grano dall' alto profilo nutritivo, alimento tradizionale della Guinea. La chef Binta lo utilizza sul palco per comporre una gustosa e salutare insalata.Per questo suo impegno le è stato assegnato a san Sebastiàn il Basque Culinary Prize 2022 , che offre 100 mila euro la coloro che, attraverso il cibo, stanno portando un cambiamento positivo nella società. Questa somma le ha consentito di comprare 4 macchine per la lavorazione del fonio, operazione che prima richiedeva molto tempo e che veniva svolta pestando il cereale con i piedi. Oggi, grazie all'investimento, il procedimento risulta più veloce e semplificato. 
Fatma Binta è un grande esempio per tutte le donne africane.


Alex Atala: O rei della cucina brasiliana
Sono passati 15 anni dall' ultimo intervento di Alex Atala a Identità Golose. Era l'ambasciatore della nuova cucina brasiliana a base d' ingredienti amazzonici ancora sconosciuti in Europa e anche in Brasile. Incantò la platea con le sue fettuccine al cuore di palma. A lui spetta il merito di avere fatto conoscere la cucina brasiliana in tutto il mondo. Dopo tutti questi anni, tante cose sono cambiate soprattutto con l'arrivo dei social media che a suo parere sono un bene in quanto " alimentano la circolazione delle idee, di ricette, prodotti e più si vede in giro, più persone arrivano".  Per Alex "il vero lusso consiste nell’abilità umana di trasformare un prodotto in emozione, far sì che non si mangi semplicemente, ma far sì che l'ospite possa sospirare". E farlo attraverso prodotti semplici ed accessibili.  Per esempio da 3 anni lavora sulla manioca, un ingrediente tradizionale amazzonico, e sulla sua fermentazione con l'acqua. A Identità Golose ha portato alcune preparazioni a base di  tubero: un pane a base di farina di manioca. acqua, sale che, dopo una breve cottura in padella,  è pronto per essere consumato. Con lo stesso impasto ha preparato una sfoglia che frigge in olio bollente fino a quando diventa bella dorata e si gonfia come se fosse una patata soufflé. Naturalmente, battimani!