Il Blog di Mangiare Bene

Eventi Golosi

Identità Golose 2021: terzo giorno

 Buona lettura e arrivederci al prossimo congresso di Identità Golose Milano 2022  che  si terrà il 24-25-26 di Aprile.
QUI primo giorno
QUI secondo giorno

Crediti fotografici:  Brambilla - Serrani  sono quasi tutte loro le immagini.

Sei piatti davvero speciali
Riccardo Camanini 
prima d’iniziare la presentazione di ben sei piatti ricorda che la sosta imposta dal Covid gli ha consentito di ripensare al senso del suo lavoro e a quanto "la parte immaginativa possa essere feconda nei momenti di crisi". Se nel passato cercava non pochi ingredienti anche intorno al mondo, oggi focalizza la sua attenzione  su "ciò che addirittura era troppo vicino e sfuggiva allo sguardo". Se prima guardava il Garda che aveva davanti, dopo il covid guarda “indietro" e precisamente un comprensorio del Parco dell' Alto Garda composto da nove paesi su un territorio che sembra abbandonato e invece non lo è. Per esempio, Magasa, un comune di 250 persone dove, sebbene prevalga l’ allevamento, gli è capitato di scoprire malli di noci che hanno la parte esterna verde e la noce interna ancora non sviluppata. Per esempio, nella Valvestino ha trovato fagioli dall' incredibile color vinaccia, poi  le faggiole, i frutti dei faggi (simili alla castagna) con dentro due pinoli dal sapore di nocciola verde, poi i camosci, poi i limoni del Garda. Si è divertito dunque a effettuare micro ricerche su terreni con ingredienti a due passi da casa. Ed ecco il risultato.

Primo piatto: riso, caprifico, mallo di noce del nocino. Usa la foglia di caprifico, un fico maschio che produce frutti che non maturano e un latte bianco citato da Aristotile come possibile coagulo per produrre il formaggio. A Gardone ve ne sono moltissimi di questi alberi e Riccardo ha pensato di usarne le foglie come base di una maionese usata per mantecare il risotto cotto al dente perché così esprime meglio la sua nota vegetale. Come finizione finale ha ideato il mallo di noce macerato nello zucchero e nell' alcol per diversi mesi: " la parte tannica sta nel riso, quella alcolica nel mallo di noce." Secondo piatto: pasta e fagioli, quelli della Valvestino dall' incredibile colore "rosso vinoso". Se ne producono solo 400 kg all'anno in 30 orti familiari e non sono mai stati ibridati. Sono burrosi e sanno di castagna. Per conservare il colore li ha messi a mollo in 5 litri di acqua e l'ha fatta ridurre in modo da ottenere 100 grammi di un liquido dal colore molto carico in cui “risotta” una pasta di lumachine di grano duro. I fagioli invece vengono frullati. A tavola arriva una pasta e fagioli frullata (dal colore insolito e intenso) arricchita con uova di trota. Terzo piatto: Ariete arrosto, faggiole, sugo di maiale.  La carne è di ariete maschio castrato. Nella cultura delle Dolomiti lucane accade che il maschio dell' ariete dominante si batta con gli altri maschi per il dominio della stalla. L'animale che perde viene castrato a quattro  anni in modo da affievolire il sapore troppo intenso della sua carne per poi venire abbattuto dopo un paio di mesi. Lo chef, lasciata frollare la carne per due mesi, negli ultimi venti giorni la ricopre col sego di rognone di vitello fuso insieme al lardo e alle faggiole tostate. Segue una lenta cottura veicolata in modo da ottenere una carne molto morbida. Completa il cosciotto una salsa di cervello di ariete (fritto in olio di faggiole, bagnato col Marsala e infine frullato), marmellata di albicocche aromatizzata al peperoncino e lamelle di porcino cotte velocemente al vapore. Quarto piatto: a base di Tombea, il cugino povero del Bagoss , prodotto a Magasa sempre in Valvestino. E' un formaggio "dalla bontà incredibile" portato a 16 mesi di stagionatura. Viene presentato cotto alla piastra e abbinato al pepe di Karimunda dal sapore leggermente lattico marinato nel bitter per un mese. Et voilà Tombea alla piastra, pepe karimunda, un bitter, un piatto dai profumi incredibili. Quinto piatto: durante un recente viaggio in Dubai lo chef ha scoperto un tipo di datteri meno dolci di quelli iraniani, il loro sapore è simile a quello della castagna con tendenza alla liquiriza. Quindi il piatto si compone di datteri, finocchi freschi, ricci di mare e nigella, un gelato aromatizzato con finocchio fresco e abbinato a ricci di mare crudi della Galizia e alla nigella dal sapore fruttato. A finire un fiore di finocchio. Sesto piatto: Limone del Garda in tripla canditura, dunque  lo show  termina con un dessert a base di limoni del Garda dalla tripla canditura durata due mesi, poi marinati in aceto di calamansi, (un agrume asiatico) e miele di acacia. Tagliati a pezzetti si passano in una pastella aromatizzata al pepe di Timut e spruzzati con un profumo di alchermes, di nuovo pepe di Timut e infine zucchero. Questo gelato viene servito a tavola su un foglio di carta di mallo di noce.

 

Una vera e propria rivoluzione culturale 
Quindi ci aspetta un lavoro grande. E l’esortazione rivolta da Niko Romito a tutti coloro che vogliono impegnarsi nella ristorazione è quella d’iniziare l’attività lavorando bene. Tale rivoluzione culturale per quanto lo riguarda andrebbe articolata nei 5  punti frutto della decennale esperienza ricavata dalla sua Accademia Niko Romito che registra un tasso di occupazione dell’80% dei suoi diplomati. Qui sotto un “concentrato” dei concetti espressi dallo chef. 
SALUTE
: l’equilibrio tra gusto e salute. Ai cuochi sarà chiesto di studiare e offrire soluzioni in modo che gusto e salute possano coesistere. Di conseguenza due gli obiettivi da raggiungere: il primo, formare figure professionali che rispondano a questa accresciuta necessità; il secondo: impartire e diffondere l’educazione alimentare perché per scegliere bene occorre prima conoscere bene. La pandemia ha posto al centro dell’attenzione la salute nel suo complesso.
RAPPORTO CON L’INDUSTRIA: le eccellenze qualitative tipiche del fine dining, cioè della cucina raffinata, devono poter essere applicate anche al prodotto industriale. Basta con questo luogo comune in base al quale un prodotto è buono solo se artigianale. Pertanto è necessario che i processi industriali cambino puntando sempre più su un’alta qualità “standardizzata”. Concetto chiarito dallo chef con un esempio: nel suo nuovo locale Bomba aperto a Pescara alla fine del 2020 un prodotto di successo sono i famosi “bomboloni” (47.000  venduti in poche settimane) che ha sempre dichiarato essere prodotti industriali, pur non avendo nulla di meno rispetto alla loro versione artigianale. Anzi sono migliori: “beneficiano delle nostre competenze e abbiamo tolto i grassi animali a favore di quelli vegetali risultando anche più sani».
SOSTENIBILITÀ: un traguardo importante. Nel 2017 Niko Romito ha avviato il suo progetto battezzato Intelligenza Nutrizionale con l’obiettivo di ripensare l’intera filiera ristorativa e ridefinire i protocolli di trasformazione del cibo. E tutto parte dall’alta cucina del suo ristorante Reale, per poi standardizzare le procedure a cascata.
FORMULE DIVERSE: «è bene che i modelli gastronomici popolari s’intersechino con la ricerca propria del fine dining, ne derivano iniziative produttive come quella di Alt, il mio diner di strada che raddoppierà a breve. Entro fine anno,  alla prima sede di Castel di Sangro se ne affiancherà una nuova, nel piazzale di una stazione di servizio a Montesilvano.
RICCO E POVERO: rendere grande una materia prima seppure poco costosa. «Alta cucina per me è questa: alzare l’asticella attraverso la propria professionalità, ossia utilizzare la selezione della qualità, la ricerca e le tecniche di trasformazione per migliorare gli ingredienti più poveri, d’altra parte è proprio questa l’essenza della tavola italiana». Un processo che si può applicare a ogni livello. Per esempio, cipolla, carciofo, verza, cavolfiore, pane…sono gli ingredienti protagonisti della gran parte dei piatti più famosi di Romito, ed è evidente che si tratti in ogni caso di prodotti “poveri”. 


Noi sì che siamo gli antichi.
Esordisce più che convinto Massimo Bottura: “Noi siamo gli antichi perché abbiamo millenni di storia dietro di noi e questa esperienza ci rende saggi anche passivamente. L’unico errore che potremmo fare è dimenticarcene. Sarebbe un passo falso che in Francescana non abbiamo mai fatto e non faremo mai. Il passato è giacimento, è esperienza, è tradizione, è territorio. È il posto in cui le materie prime si contaminano con lo spirito del luogo e della popolazione stessa. L’innovazione poggia su queste basi: inconsapevolmente come se ci arrivasse da un'eredità oppure consapevolmente quando ci dedichiamo allo studio. Sono la nostra storia: sì, noi siamo gli antichi". E prosegue ringraziando le ragazze e i ragazzi di Identità Golose perché "non è stato facile mettere in piedi un evento così importante in condizioni così difficili".  Lo chef come al solito è un fiume in piena:  "Avere ancora le farfalle nello stomaco dopo sedici anni è una cosa bella e quindi cercherò di trasmettervi questo tipo di emozione ricordando come il lockdown ci abbia regalato del tempo prezioso "per noi stessi, per la nostra squadra, per la nostra famiglia, tempo che avevamo il dovere di utilizzare al meglio." E racconta come lui, la moglie e i figli, chiusi in casa ma connessi col mondo, facevano vedere come si fa la spesa, come si acquista la materia prima, come si cucina in modo etico. E non è tutto. Da quei giorni ad oggi  lo chef ha aperto quattro nuovi Refettori: (Messico, Lima, San Francisco, New York) e il 2020 lo ha chiuso con la distribuzione di mezzo milione di pasti. Ma c’è dell’altro. Che cosa?  Ebbene, Bottura in patnership con la Ferrari ha inaugurato da poco a Maranello il Cavallino dove propone la cucina della tradizione e due settimane fa l’ Osteria Gucci  a Tokyo». E poi? Si vedrà.

Girotondo di grandi chef e grandi sapori    
A Massimo Bottura nell' introdurre il suo menu attualmente in carta alla Francescana, menu che si ispira ai più grandi piatti della cucina italiana degli ultimi cinquant’anni tra 1900 e 2000, preme sottolineare che la creatività non ha tempo, non ha scadenza, fa parte dell' anima. Anzi, lo chef sottolinea il concetto citando un pensiero del geniale pittore, scultore e performance artist tedesco Joseph Beuys : “la creatività è una candela che va tenuta sempre accesa, perché se si spegne è difficile da riaccendere."  Da parte sua prosegue domandandosi cosa significhi essere contemporanei: "conosco tutto e poi mi dimentico di tutto. Ma se non conosco, come posso parlare di certe cose? Allora è meglio stare zitti". Dopodiche inizia lo show con Bottura e la sua brigada e gli altri ragazzi che lavorano in tutti i suoi ristoranti.
Sono 10 le ricette di questo nuovo “menu degustazione” che si apre con tre amuse bouche di benvenuto ispirate  rispettivamente a Il Wafer si Veste D’oro (2003) di Giancarlo Perbellini trasformato in ceviche; al Volevo essere fritto (2010) di Ciccio Sultano, un gambero oggi messo in un cannolo con la polvere e la salsa ricavate dalle stesse teste; alla Minestra di pane (1979) di Fabio Picchi che ora “scalda l'anima" con l'acqua di quattro diversi tipi di pomodoro versata calda su fette sottilissime di pane grigliato insaporito da un filo di olio d’oliva extravergine profumato da un cipollotto bruciato; segue la cipolla fondente(1990) di  Salvatore Tassa che nel menu di Bottura diventa una millefoglie di pane e cipolla  da servire come “primo” perché è importante fare capire da dove si parte: "semplicità, tecnica e poesia". Di seguito il menu propone L’insalata di spaghetti al caviale (1985) di Gualtiero Marchesi che diventa "spaghetto, spaghetto dove sei?" Lo spaghetto bollito in un brodo di branzino viene frullato, messo alla base del piatto e nascosto dal caviale freddo al centro. Anche una elegante creazione di Fulvio Pierangelini sfoggia il menu e la sua originaria Capasanta ripiena di mortadella (2005) qui diventa ravioli di capesante e mortadella, chowder (zuppa) di finocchio e mela marinata. La mortadella s’impasta già nella sfoglia e i ravioli che se ne ricavano si riempiono con un chowder di capesante saltate in padella, un chowder di finocchio, tre dischi di mela marinata nell' aceto di fiori sambuco. Cosa pretendere di più? E anche Nino Bergese che a suo tempo (1975) studiò il Controfiletto del San Domenico avrebbe vissuto, come oggi lo vivono Valentino e Natale Mercattilii,  la metamorfosi del piatto trasformato in vegano: melanzana, glassa fumée, salsa alle erbe fini e acqua, con l'ortaggio lavorato proprio come un controfiletto e servito con una salsa alle erbe aromatiche. Ed eccoci arrivati al Savarin di riso (1963) di Mirella e Peppino Cantarelli, un super classico della cucina degli anni 1960 (vediamo la famosa coppia nella proiezione di un filmino in bianco e nero intervistata dallo scrittore-regista Mario Soldati in una delle prime trasmissioni sul cibo della nostra neonata TV) che nella trasposizione di Bottura diventa un chawanmushi di parmigiano, lingua, spugnole, taccole, asparagi e fondo di funghi. Ci pare giusto ricordare che chawanmushi in giapponese significa zuppa ed è la rievocazione di un antipasto di uova e altri ingredienti cotti al vapore, servito in ciotola e consumato con il tradizionale cucchiaio. Tra i penultimi piatti d'antan scelti per il suo menu dal fantasioso Bottura ecco la faraona alla creta (1963) della già citata famosa Mirella Cantarelli. La faraona, rivisitata in chiave contemporanea vede la farcia diventare la protezione esterna in sostituzione della creta, quindi la definzione: faraona ripiena di pane e frattaglie con fondo bruno filtrato infuso con riso tostato e salsa di fondo di riso bianco lucida e delicata. Proprio come se fosse un velluto, insomma una meraviglia. Restando in tema di volatili ecco il penultimo piatto, il germano ripieno di anguilla (1985) di Igles Corelli, evolutosi in anguilla, pelle croccante, spinaci, rafano, mirtilli e aceto balsamico.La gastronomia, davvero, riesce sempre a sorprendere. Il menu finisce, e non poteva essere altrimenti, proprio in bellezza con la zuppa fredda di carbonara (2020) di Gianfranco Vissani trasformata in dessert: crema inglese al pepe, guanciale, banana, gelato di pecorino, caviale. Più che dovuta la descrizione di alcuni particolari: base del piatto una crema di banana leggermente affumicata con gelato al pecorino, un’idea di crema inglese alla vaniglia e pecorino, cubetti di guanciale tostato, caviale e pepe. Da non dimenticare che le bucce tostate della banana diventano il cono del gelato con un cucchiaio di caviale sul fondo! Un dessert pazzesco e abbinamenti incredibili!  Il menu degustazione offre anche il cannolo croccante ripieno di crema al gelso, cassis e fragole disidratate di Corrado Assenza, l’insuperato pasticciere siciliano della dolcissima Sicilia e altre friandises.
Massimo Bottura alla fine del suo lungo e applauditissimo intervento ricorda a tutti che “isnsieme alla sostenibilità, come valore universale, dobbiamo occuparci anche della sostenibilità economica di quello che facciamo". Capito?

I Lunelli doc.
Lunelli e Grappa Segnana.Vivevano vicini e alla fine si sono felicemente sposati. Più precisamente, nel 1982, la pregiata grappa Segnana è entrata a far parte del Gruppo Lunelli produttore delle prestigiose bollicine Ferrari. Quale unità d’intenti accumunava i protagonisti di questa unione? L’attenta cura per l’ingrediente principale necessario alla nascita dei loro prodotti: le vinacce residuate dalla spremitura dell’uva. Vinacce che entrambe le aziende distillavano ancora fresche rispetto alla raccolta in quanto contenendo l’85% del “corredo” aromatico dell’uva occorreva evitarne la dispersione in tempi lunghi d’attesa. In entrambi i casi si tratta di due prodotti che devono alla lungimiranza dei loro antenati più e meno recenti il successo attuale. Infatti occorre ricordare che era il 1860 quando Paolo Segnana ideò una delle prime distillerie mobili della storia su un carro a cavallo e montati i suoi alambicchi iniziò a battere il territorio lavorando in presenza, come si direbbe oggi, le vinacce dei vignagnuoli. Per quanto riguarda invece i Lunelli  occorre risalire al 1902 quando il trentino Giulio Ferrari portò nella sua regione, in anteprima dalla Francia, le  sconosciute “baracchelle” colme di chardonnay iniziando una produzione di grandissima qualità. Il tempo passa e, tra gli anni Settanta e Ottanta, Bruno Lunelli proprietario di una enoteca cittadina, rilevò l’azienda mantenendo il marchio Giulio Ferrari che diventerà in breve leader in Italia e “il brindisi italiano per eccellenza”. Oggi alla guida dell’azienda è arrivata la terza generazione con Matteo (presidente), Marcello (enologo), Camilla (responsabile della comunicazione) e Alessandro (responsabile della produzione) che continuano a innovare la tradizione e a “costruire nuove memorie” ampliando le attività. A Identità Golose ho partecipato al loro viaggio sensoriale  #PiacereDistillato in omaggio alla Grappa Segnana.
QUI 
la degustazione.

Ci vuole il desiderio per comporre un menu
Mauro Uliassiil tristellato chef marchigiano, racconta che quando crea un nuovo menu, alla fine, ogni piatto viene votato da tutti i componenti della sua brigata e, se non c'è l' unanimità, si riprova la ricetta (o le ricette) sino a quando tutti sono convinti che funzioni alla perfezione. Un metodo che funziona. Sempre per quanto riguarda la stesura del menu, una componente essenziale è il desiderio che "bisogna tenere sempre al massimo e deve essere continuamente sollecitato in modo che aumenti piatto dopo piatto”. Un menu infatti, puntualizza lo chef, "deve avere un gusto che accontenti quasi tutti i clienti, altrimenti questi non ritornano più e si chiude”. Sul palco lascia spazio a Mattia Casabianca pastry chef che prepara un dessert, il Senigallia- Brest, già in carta all’Uliassi Ristorante. E’ un dolce che prende spunto dal famoso Paris Brest francese, però Mattia lo personalizza impiegando i bignè craquelin, una variante dei soliti bignè formati da un doppio strato d’impasto che li rende più dolci e croccanti rispetto agli altri e così battezzati per avere alla sommità un dischetto, appunto, di pasta craquelin. Serviti caldi, farciti con le amarene di Cantiano surgelate, crema Chantilly leggermente zuccherata e aromatizzata alla vaniglia Tahiti, olive nere essiccate, poi caramellate e insaporite con un trito di finocchio selvatico e arancia. Un insieme sorprendente di sapori, tanto che lo chef consiglia di mangiare i bignè in un solo boccone in modo da percepirne al meglio le piacevoli sfumature di gusto e le piacevoli sensazioni che ne derivano. 



Nulla di più vero!