Il Blog di Mangiare Bene

Eventi Golosi

Identità Golose 2024: secondo giorno

La seconda giornata di Identità Golose è stato un susseguirsi di interventi molto interessanti. Buona lettura!

QUI il resoconto del primo giorno
QUI il resoconto del terzo giorno
QUI in giro per gli stand

Stefano Papetti: conservare il nostro grandioso passato  
Potrebbe anche essere definito un critico d’arte con le Marche in palmo di mano tanto vasta in materia è la cultura di Stefano Papetti, Direttore Musei Civici di Ascoli Piceno e Docente in Arte del Restauro. A proposito di ubbidienze, disubbidienze e rivoluzioni, disubbidienti con misura andrebbero giudicati i fratelli Annnibale e Agostino Carracci e il loro cugino Ludovico che, nel 1.500 nella loro scuola-bottega, iniziavamo a passare dal manierismo ancora accademico ad alcune forme di realismo ispirati dalla realtà quotidiana. Vedi, per esempio, il modernismo de il “Mangiatore di fagioli” dove il contadino, visibilmente sorpreso dalla comparsa di un qualcuno che lo osserva, sogguarda verso di lui con il gesto interrotto della mano di portare il cucchiaio di zuppa alla bocca che, tranquillo, stava sorbendo col suo cappellaccio in testa. Invece, arrivato il 1900 , disubbidiente a 360° fu Filippo Tommaso Marinetti urlatore in carriera del suo odio alla pasta (poi sorpreso in un ristorante a gustare  privatamente un bel piatto di spaghetti) e contro tutto ciò che viene dal passato. Pertanto, a riprova che il cibo è e sarà sempre cultura, nel suo brillante excursus in quel mondo il professor Stefano Papetti  ha sottolineato quanto sia stato importante per l’arte essere stati artisti disubbidienti dovendo “servire” il committente, ubbidire ai suoi desiderata e alla richiesta di rifacimenti oltre al rispetto imposto di determinate tecniche pittoriche. Se artisti come Michelangelo, come Raffaello e tanti altri eccelsi come loro avessero ubbidito, noi non avremmo potuto ammirare oggi i loro stupendi capolavori. Oltre al suo sapere il professore ha portato a Identità Golose il sapore di un artistico blend da infusione, mele, pesche e ciligie (ideato per gli shop di “Ascoli Musei”) ispirato ai frutti dei festoni vegetali che Carlo Crivelli, vissuto dopo la natia Venezia, per sempre nelle Marche, anzi proprio ad Ascoli, dipingeva  a fine del 1400 per il decoro degli altari Madonne con cornici di frutti e di verdure “dando  preferenza a pesche e cetrioli” come riportano le cronache del tempo precisando che i suoi quadri “condotti a tempera e perciò a tratti, e sono impastati di gomme sì tenaci che reggono a qualunque corrosivo; motivo per cui si mantennero lucidissimi». Il suo famoso “Polittico” si ammira nella Cappella del Sacramento del Duomo di Ascoli Piceno.

Cracco e Sacchi: la tradizione milanese lombarda, rispolverata
 Carlo Cracco
, apre la mattinata della seconda giornata di Identità Milano 2024  con un omaggio a Gualtiero Marchesi, definito il padre della disobbedienza culinaria. Marchesi infatti è stato un pioniere nel rompere gli schemi della cucina tradizionale italiana, introducendo innovazione. Un atteggiamento di disobbedienza non  finalizzato a creare uno spettacolo, ma guidato da una profonda carica innovativa mista  alla disobbedienza. La sua idea fondamentale era che la cucina italiana fosse l'ispirazione e po il punto di partenza per il lavoro. Le sue ricette erano concepite non solo per il gusto, ma anche per trasmettere un messaggio di italianità attraverso colori, forme e riferimenti culturali. Questo spirito di disobbedienza e innovazione è stato il punto di partenza per molti dei suoi allievi, tra i quali Carlo Cracco  attratto dalla cucina per "fame" e "desiderio" di trasformare l'appetito in  mestiere. Ha sempre cercato di innovare e sfuggire agli schemi predefiniti, senza compromettere la propria identità. Nonostante il suo percorso sia stato inizialmente guardato con diffidenza dal padre, Cracco ha trovato il modo di persistere e svilupparsi e, proprio come Marchesi, ha permesso anche ai suoi allievi di trovare la propria strada senza imporre rigide regole. Sul palco Luca Sacchi, executive chef di Cracco in Galleria , ha presentato cinque piatti che fanno parte del nuovo menu degustazione del ristorante. Sono piatti che si ispirano  alla tradizione italiana incorporando anche elementi della cucina popolare milanese e lombarda. Come Pane, polenta e bruscitt. Busto Arsizio è il luogo dove tutto ha avuto inizio, nelle umili macellerie con il macellaio che conservava i pezzetti di carne avanzati durante il giorno, raccogliendoli in una bacinella per venderli poi alle persone con minori risorse economiche. Questi  scarti di carne tritata - manzo, vitello, maiale -  conosciuti come "bruscitt" o "briciole", si vendevano a prezzi accessibili, quasi come fossero frattaglie. I bruscitt,  brasati a lungo nel vino rosso e insaporiti  con del finocchietto, si servivano su abbondanti porzioni di polenta, che rappresentava il principale alimento per molte famiglie. Partendo da questa ricetta lo chef ha disubbidito facendone un pane miscelato con polenta bianca già cotta, del pane estremamente morbido farcito con carne di manzo brasata molto saporita e lasciato lievitare, quindi cotto come se fosse l'originaria " ltorta di rose". Una volta a tavola, si consuma con un saporito intingolo  che richiama i sapori del tradizionale "bruscitt": note di vino rosso e finocchietto. Tuttavia, in questo caso, il condimento è realizzato con verdure tostate anziché con carne, ma gli aromi sono tali da evocare la gustosa sensazione del piatto originale. 
La minestra di grano è un piatto che rivisita una tecnica culinaria tradizionalmente associata al riso, con un ingrediente diverso: il grano saraceno tostato e trattato come per un risotto. Quindi, il grano si cuoce in un brodo di grano saraceno arricchito con prosciutto cotto alla brace (che ne accentua i sapori tostati e arrostiti) e la cotenna, ingrediente classico nelle minestre che conferisce sensazioni piacevoli di pienezza e morbidezza. Il grano dopo aver assorbito il liquido di cottura, viene mantecato con un olio profumato alla salvia, poco parmigiano ed erba cipollina. Poiché manca l' amido del riso, l' emulsione è ottenuta solo con il burro e il liquido di cottura. Ne risulta così una zuppa dal sapore ricco e profondo, che richiama i sapori dei tempi passati. A finire, un velo di grano saraceno tostato, alcune fettine di mela cotta, una foglia di salvia farcita con musetto di maiale brasato, scorza di limone e cotenna soffiata, il tutto cosparso di pecorino e pepe nero. Dunque, un' esperienza gustativa ricca e variegata che elimina ogni monotonia alla bocca.
La "Milano che avanza". Un tempo, nelle trattorie cittadine il problema delle fettine di vitello alla milanese non consumate si risolveva nella pratica soluzione di conservarle sotto aceto, presentandole successivamente col nome di " Milanese Sott’aceto". Questa pratica rifletteva l' idea di utilizzare il cibo non consumato in modo creativo e sostenibile. Oggi, rivisitata da Carlo Cracco, questa ricetta è una versione più delicata e raffinata del carpione preparato con vino bianco, aceto e miele. Mentre la fettina di vitello scompare, sostituita da fette di pane nero che, avanzate dal servizio, viene seccato, bagnato con un estratto di carne concentrato, quindi impanato come una “milanese" tradizionale (farina, uova e pangrattato) viene fritto nel burro chiarificato e poi immerso nel carpione. Il risultato è una variante che richiama il gusto e la consistenza della ricetta originaria con soluzioni che aggiungono complessità e sapore. Nella presentazione, un innovativo ricciolo di cipolla in agrodolce aggiunge un tocco di gradita dolcezza e acidità. Dunque, un' armoniosa fusione tra tradizione e innovazione.
La quaglia ingioiellata prende ispirazione dalla ricetta persiana del "riso ingioiellato", un "basmati" cotto con spezie, fiori, mandorle e coriandolo definita "una preparazione estremamente gioiosa alla vista." Che Cracco ha  trasformato in un piatto di quaglia. Il basmati diventa un riso allo zafferano, caratterizzato da una marcata acidità e arricchito con albicocche secche, uvetta rinvenuta nel vino bianco, un tocco di formaggio e una parte di spezie( bacche di coriandolo, cumino, pepe rosa), foglie di coriandolo ed erba cipollina. Con questo composto si farcisce la quaglia che poi viene cotta in forno. A tavola arriva servita con foglie di coriandolo spezzate e fiori a riprendere la bellezza e gioiosità di quell' antico riso. Un piatto bellissimo che si fonde armoniosamente con la cucina del Nord Italia, dove spesso quaglia e riso rappresentano una deliziosa combinazione per il palato.  Un sorbetto  conclude la parte salata del menu degustazione introducendo  al dolce, un soufflè al cioccolato, "corretto, goloso, ricco, esattamente come te lo aspetti". Cracco sottolinea che è un passaggio non è un'interruzione, ma piuttosto un'aggiunta che rafforza  il percorso culinario dei piatti serviti in precedenza.  Per amplificare ulteriormente questa esperienza viene servito un sorbetto alla cannella: estratto intenso di cannella, panna semi-montata, preparata con panna ridotta e caramellata, cristalli di sale. In questo caso l'unico elemento "pulente" è la freschezza, non c'è acidità perché non è necessaria né desiderata.
( photo credits: Brambilla Serrani)

Bruno Verjus: il più anziano dei giovani chef
Così si definisce Bruno Verjus, critico gastronomico di successo per molte testate francesi e autore del blog Food Intelligence (fermo dal 2017) . Nel 2013, a 54 anni, lascia a sorpresa il giornalismo per aprire a Parigi il ristorante “ Table ”guadagnando una stella Michelin nel 2018 e la seconda nel 2022. La scelta di aprire un ristorante nel dodicesimo arrondissement fu una scelta disobbediente e controcorrente, ma Verjus si dice orgoglioso di avere  portato visibiltà a questo quartiere popolare, infatti "Table"  è il primo ristorante del nostro quartiere a conquistare due stelle Michelin". Confessa inoltre che passare da critico gastronomico a chef autodidatta è stata una trasgressione molto audace "una disobbedienza  scandalosa" soprattutto  in Francia, ma ora si sente libero di esprimersi liberamente, “facendo la cucina che voglio fare, quella che vorrei mangiare, senza curarmi dei premi". La sua voce, sempre ironica, cede alla commozione parlando dello spirito di squadra del suo ristorante: “Che nasce da un lavoro di squadra, da un confronto continuo tra di noi sui prodotti che arrivano quotidianamente in cucina, così originano le idee per i piatti che proponiamo". Inoltre: ” l'affiatamento con la squadra si costruisce con il lavoro quotidiano, ma anche con il riposo, pertanto il ristorante è aperto solo quattro giorni su sette, con il weekend completamente libero, per tutelare il diritto di chi lavora con me di avere una vita serena". Infine: “ E' davvero arrivato il momento di lasciarci alle spalle tutte le stupidaggini del passato: il rigore, se non la violenza, della disciplina in cucina, il bullismo, il sessismo. Basta a tutto questo e dell' importanza di abbandonare pratiche negative del passato, come la disciplina rigida in cucina e il bullismo”.


Massimiliano Alajmo: c'è qualcosa di N’Uovo
Sì, una ricetta battezzata “Suono N’Uovo” e nasce da un concetto innovativo e suggestivo che va oltre il semplice atto di mangiare.."Sono partito dall’idea della pasta all’uovo, sfogliando i ricettari incontriamo solo ricette in cui si usano il tuorlo e l’albume, l’uovo intero si direbbe, e allora ho pensato all’uovo davvero intero. Poi mi sono ricordato della nonna, che la domenica mi dava un cucchiaio dil miele densissimo mescolato a della polvere di guscio d'uovo per la calcificazione delle ossa. Di quel ricordo mi è rimasto il suono, lo scricchiolio. E da quel suono sono partito". Per arrivare al risultato finale, Massimiliano Alajmo e i suoi collaboratori dopo averlo sterilizzato hanno polverizzato il guscio dell’uovo unendolo all’impasto tradizionale. Ma c'era qualcosa che non andava bene: "abbiamo assaggiato il piatto e istintivamente stavamo per scartarlo, questa sedimentazione polverosa sotto i denti aveva qualcosa di sgradevole. Poteva indurre al ricordo della sabbia... però c'era dietro qualcosa di estremamente interessante. Quindi abbiamo rifatto la degustazione, tappandoci le orecchie. E' iniziato un percorso totalmente diverso e ci ha aperto uno scenario incredibile". A parte ovviamente la polvere di guscio, Suono N’Uovo sono delle fettuccine classiche leggermente affumicate con erbe secche come timo, maggiorana, salvia, alloro, cotte in acqua bollente e condite con una fonduta di Castelmagno realizzata con un latte vegetale per esaltare il profumo del formaggio e con un brodo doppio di gallina estremamente concentrato e legato con un goccio di amido di patate.  Particolare è il modo in cui viene servito il piatto: dopo ogni forchettata di fettuccine, il cliente viene invitato a bere un sorso di una bevanda a base di burro nocciola e acqua di sedano rapa. Questo non è solo un piatto da gustare con il palato, ma anche con l'udito. Gli ospiti infatti vengono dotati di tappi per le orecchie e sono incoraggiati a chiudere gli occhi, in modo da creare un' esperienza di "degustazione ipnotica e vivere un  indagine interiore molto forte". Massimiliano Alajmo sottolinea l'importanza dell'udito nell'esperienza culinaria, dimostrando come i suoni del cibo possano influenzare la percezione e l'apprezzamento del gusto. Questa profonda riflessione porta i commensali a intraprendere un viaggio interiore alla scoperta di sé stessi e del rapporto unico che hanno con il cibo. "Ascoltare" il cibo diventa quindi un'esperienza di consapevolezza e conoscenza che conduce ad indagare emozioni più intime e personali.  Una ricerca che apre a nuovi scenari. 
( photo credits: Brambilla Serrani)

René Frank: dessert fine dining allo stecco
Pasticciere, chef e proprietario di Coda a Berlino, il primo dessert restaurant a ricevere due stelle Michelin. Noto per il suo approccio innovativo alla sua arte René Frank applicando le tecniche sofisticate dell' alta pasticceria offre un menu degustazione completo. La sua cucina è caratterizzata da una grande attenzione alle dolcezze naturali dei vegetali e alla creazione di armoniosi intrecci tra sapori come umami, salato e acido.  La sua filosofia si basa sull'utilizzo di ingredienti di alta qualità e sulla ricerca della perfezione nei dettagli. Egli crede fermamente che il dolce non debba limitarsi a essere una finezza da gustare dopo il pasto ma, piuttosto un'esperienza culinaria completa e memorabile. Nel suo intervento a Identità Golose ha sottolineato inoltre quanto sia
fondamentale capire il contesto in cui i dolci sono serviti: in un pastry shop, ad esempio, si preparano dessert per il take away, mentre in un ristorante le possibilità di trattare i dolci sono completamente diverse. Nel dessert dining, si parte sempre dai sapori puri degli ingredienti lavorando con vegetali e frutta per ottenere sapori come glutammato e zucchero raffinato al naturale. Il pastry chef s’impegna in riduzioni, concentrazioni e fermentazioni per esaltare sempre i sapori degli ingredienti.. Un esempio creativo di questo approccio è il suo "gelato su stecco" ricoperto di caviale per il salato e l'umami, su cui viene vaporizzato del cioccolato caldo. Internamente, il gelato è farcito con ganache al carciofo e vaniglia. Questo equilibrio  fra sapori insoliti e combinazioni inaspettate offre un'esperienza culinaria unica che va oltre il semplice dessert. Concludendo, René Frank si augura che i suoi ospiti, lasciando il ristorante, considerino il dessert non solo come un fine pasto, ma come qualcosa di molto più significativo e apprezzino l'audacia e la creatività che si nasconde dietro ogni piatto servito ai tavoli del suo Coda.
( photo credits: Brambilla Serrani)

La cucina olistica di Rasmus Munk
."Da Alchemist , facciamo una cucina olistica" così Rasmus Munk, presenta il suo ristorante (due stelle Michelin, più una verde) di Copenaghen. Una cucina che si basa sull'idea che il cibo sia una forma di comunicazione e espressione con l'obiettivo di essere "disruptive" e disobbedire agli schemi convenzionali a partire da quello di contravvenire anche allo schema achittetonico classico della ristorazione: in 2.200 mq, sotto una cupola tipo quella di un planetario, si succedono tante stanze dove i clienti possono camminare tra migliaia di palline, ballare e ascoltare musica, riflettendo temi di rivoluzione e disobbedienza. D'altra  parte, poiché l'olistico abbraccia il "senso del tutto", Munk  si ispira a diverse discipline, incluso l'arte, per creare piatti unici, prendendo spunto da artisti come Picasso e Warhol, oltre alla street art. Nelle sue creazioni culinarie Munk affronta anche temi di attualità come l'inquinamento delle acque, il problema degli allevamenti intensivi, i detriti spaziali o la fame nel mondo  argomenti che vanno oltre il mondo del gusto e dei sapori. Per realizzare la sua visione, lavora con un team dedicato e recentemente ha aperto Spora, un posto dove lo chef ha concentrato laboratori di ricerca con l'intento di trovare soluzioni innovative e sostenibili per cambiare il futuro della gastronomia. “Il futuro e i giovani sono importantissimi per cambiare il mondo”, ha concluso lo chef. dove si concentrano laboratori di ricerca per sviluppare soluzioni innovative e sostenibili per il futuro della gastronomia. Munk infattti crede nel potere dei giovani e del cambiamento sociale attraverso il cibo e l'arte.

 Oldani e i suoi chef: una disobbedienza di gruppo
A 16 anni, avrebbe potuto diventare un calciatore professionista, ma a causa di un infortuno alla tibia, Davide Oldani decide di intraprendere la strada della ristorazione. Che non avrebbe mai più abbandonata. Oggi per lo chef milanese "la grande disobbedienza è provare a seguire tutte le regole vigenti nel rispetto di tutti”, un concetto applicabile a varie sfere della vita, dall'arte alla cultura. Bisogna dunque evitare la disobbedienza fine a sé stessa perché risulterebbe sterile e puntare piuttosto a una disobbedienza controllata per creare piatti nuovi. Come i quattro “serviti” a Identità Golose a cominciare dalla rivisitazione dell'ostrica (mai usata vent’anni fa nella sua cucina Pop) utilizzandone ogni parte. Quella più carnosa nella sua valva appoggiata su alcuni sanpietrini ardenti vaporizzati con acqua aromatizzata ad agrumi ed erbe; poi le branchie cotte nell' acqua stessa del mollusco adagiate su una tigella di grano duro guarnita con spuma di yogurt e rafano, gelatina all’aceto di Jerez e una “foglia” d’ostrica. Dunque, un piatto innovativo che presenta diverse consistenze. La seconda proposta è un carciofo (in passato non l’avrebbe mai usato per la lunga lavorazione che richiede) farcito con pane, pecorino, menta; una volta cotto sottovuoto  se ne intinge la “testa” in una leggera tempura e, su questa, si cospargono finte foglie ricavate da una pastella d’acqua e farina; quindi frittura finale  veloce per mantenere intatti "tutti i profumi e le consistenze". A tavola il carciofo, per un abbinamento in contrasto, viene servito con aceto di agrumi macerati e una birra “assai spinta”. La terza disubbidienza finale di Cracco e dei suoi chef di brigada è un “primo” di pasta: il fondo del piatto viene spalmato con il ripieno tipico dei tortellini diventato base e condimento per una pasta secca rifinita con panna ridotta e profumata al pepe nero schiacciato e setacciato in modo che, perduto il piccante, resti solo il profumo. Non resta che presentare il menu battezzato "Radici" per il suo nuovo ristorante “Olmo” (sempre a San Pietro all' Olmo) a conferma del profondo legame di Carlo Cracco con il territorio dove è nato e dove lavora da tanto tempo. "Forse la cosa più disubbidiente che ho ancora in mente sarebbe quella di far leggere ai clienti il menu dal basso verso l'alto. C'è un perché: le radici solide, che si estendono al cibo, alla natura e alle persone, sono fondamentali per costruire nella vita qualcosa di grande. In passato, non avevo compreso perché i miei maestri nello studio di un nuovo menu, partivano sempre dal basso per arrivare all’antipasto e aggiungere dopo solo il dolce. Ripeto, non l’avevo mai capito, ma ora grazie alle radici, al territorio e a un po’ di disobbedienza, è tutto più chiaro". Non manca l’elogio finale ai suoi chef, Alessandro Procopio e Riccardo Merli, al lavoro con lui sul palcoscenico di Identità Golose.
( photo credits: Brambilla Serrani)