Il Blog di Mangiare Bene

Eventi Golosi

Identità Golose 2024: terzo giorno

Buona lettura e arrivederci alla prossima Edizione di Identità Golose del 2025.
QUI il resoconto del primo giorno
QUI il resoconto del secondo giorno
QUI in giro per gli stand

Massimo Bottura: disobbedire è faticoso.
In collegamento da Los Angeles dove si trova per la promozione di un suo libro Massimo Botturaal solito entusiasta e agitato, esordisce affermando che disobbedire è faticoso, che vuol dire spendere energia, dire NO, nutrire il dubbio, essere coraggiosi. Che bisogna avere un obiettivo da raggiungere. Inventare soluzioni, ambire a cambiare le cose… Che bisogna rifiutare di seguire acriticamente una linea tracciata da altri, porre domande pur sapendo di non avere, ancora, risposte. Che bisogna ricercare. Al contrario, copiare, emulare, omologarsi significa obbedire. Accettare le idee altrui, arrendersi. Questo non lo dovete mai fare.  Per Bottura la disobbedienza rappresenta il coraggio della rivoluzione cercando soluzioni innovative e avendo consapevolezza del percorso intrapreso. È importante possedere competenza e abilità, ma senza necessariamente mostrarle tutte contemporaneamente e in modo eccessivo, poiché ciò potrebbe portare a perdere l'essenza dell'idea. La disobbedienza diventa il cuore pulsante di una danza tra cultura, conoscenza e coscienza, alimentando idee audaci e stimolando la creatività e l'innovazione attraverso il dubbio e la ricerca.  Esagerando, dopo aver visto il video from Los Angeles,  si potrebbe dire che lo chef è un fiume in piena che esonda rilasciando sul terreno ricette e regole di vita. 

Riccardo Camanini: anche gli ingredienti disobbediscono
" La disobbedienza mi ha messo fortemente in crisi, probabilmente  perché la cucina è il luogo che amo... a cui ho dedicato la maggior parte della mia vita... ed è difficile ribellarsi a qualcosa che si ama. Non mi capita mai di lanciare della farina per aria o rompere un piatto per rabbia" Cosi inizia l'intervento di Riccardo Camanini il quale fa anche presente  come la sfida più importante per un cuoco sia la lettura degli ingredienti :"A volte gli ingredienti dissobediscono a quel che è l'idea iniziale di una ricetta”. Comunque, il suo primo piatto presentato è l’interpretazione disubbidiente di una ricetta de "il cuoco dei Papi", Bartolomeo Scappi (circa 1500 – 1570), tratta dalla sua "Opera", il più grande trattato di cucina dell’epoca. «È stato subito evidente nel leggere la ricetta che si trattasse di un’antesignana cassœula. Nel fare ulteriori ricerche ho scoperto che "struccare", nel 1500, significava spremere, comprimere, pigiare. Dal significato di questa parola è partita la mia reinterpretazione disubbidente aggiungendo altri elementi presi in prestito dalla fitoterapia e dalla profumeria, come le tinture madri, l'estratto secco e le lacrime di benzoino”. L' idea era quella di rappresentare una pasta della tradizione bergamasca nella sua massima espressione. Così, lo chef è partito da una pasta fresca fatta con un chilo di farina, due uova e acqua povera: "L’abbiamo stesa sottile e l’abbiamo spennellata con una tintura di asperula che lascia un profumo estremamente erbaceo e un sapore lievemente amaro. Poi, per fissarne i profumi, l’abbiamo spolverizzata con cavolo essiccato, estratto di broccolo, polvere di estratto di aneto e lacrime di benzoino. Quanto al brodo, preparato con costine di maiale, cavoli, cipolla, foglie di limone, miele, senape, zenzero e bacca di lemongrass,  viene riso più ricco con un’infusione di cavoli essiccati”. Segue l’ultima fase della ricetta, quella del "Casoncello alla bergamasca", la cui pasta ha la caratteristica di essere povera e molto gommosa. Nella sua reinterpretazione Camanini la cuoce a vapore, la lascia asciugare, poi l'avvolge su sé stessa creando un boccone, in ricordo della verza “struccata” dalla ricetta Scappi.  Il piatto servito a tavola presenta quattro elementi diversi: il boccone di pasta, il brodo, il cavolo cappuccio bianco e rosso marinato con una tintura madre di cardo mariano e le foglie di cavolo essiccate. L'intenzione di Camanini è stata quella di una pasta che si potesse mangiare con le mani in modo da far percepire al palato la tipica gommosità delle paste povere bergamasche. Sì, quelle "struccate". Per lo spaghetto al burro e camomilla, dopo una prima versione non del tutto soddisfacente, la chiave di svolta è stata l'aver  sostituito la polvere di camomilla con il suo estratto secco, una sintesi dei principi attivi e degli oli essenziali della pianta. La differenza cruciale tra l'uso di una semplice polvere di camomilla e l'estratto secco risiede nella reazione al calore: mentre la polvere rimane stabile, l'estratto rilascia gli oli essenziali. Poiché sia la polvere che gli oli sono liposolubili, l'estratto interagisce con il grasso presente nel burro e conferisce agli spaghetti un colore ambrato senza creare sensazioni polverose in bocca. Inoltre, questo processo aumenta la percezione olfattiva, creando un effetto estetico più interessante. Passa poi alla preparazione di un risotto dove utilizza la tintura madre di biancospino che conferisce al palato una nota fortemente lattica. E' un risotto cotto in un brodo di stoccafisso e mantecato con una maionese all’olio di stoccafisso. Per bilanciare la sensazione lattica del piatto, ha scelto di abbinare un frutto - la banana - per conferire una nota di acidità " lievissima". E voilà: riso, stoccafisso, banana e tintura madre di biancospino

Antonia Klugmann: la sua cucina in movimento continuo
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Quest'anno, l'anno in cui Identità Golose mi ha onorato scegliendo il mio lavoro per la copertina di Identità Milano, ho capito quanto fosse difficile per me selezionare un piatto che fosse identificativo del mio operato di questi ultimi 20 anni". E mentre sullo schermo scorrono le immagini dei piatti degli ultimi vent'anni sottolinea  che "è stato difficile dal momento che la mia cucina è in movimento continuo perché io ho bisogno che sia tornasole di me ed espressione di me. Io non torno indietro nella costruzione dei miei piatti. In ogni stagione cerco di proporre  piatti mai proposti prima". Continua spiegando che "i miei piatti sono il prodotto di un’esigenza di sintesi, un' espressione che parte dall' ingrediente, in cui però la tecnica e l'estetica sono assolutamente asservite ai miei scopi, e mai lo scopo finale: sono solo mezzi di lavoro".  La ricerca, nel suo caso, si traduce in un tentativo di cambiare lo squardo sulle cose che la circondano e di fare sì che il piatto sia espressione di questo sguardo mutato. Questo è il cuore del suo lavoro: "mutare lo sguardo mantenendo il mio punto di vista come puto focale della prospettiva finale". Sul palco porta tre patti che rappresentano l'oggi, "il nostro ora"  inteso come suo e di tutto il team che lavora con lei all' Argine  nel friulano  Vencò. Sono piatti in cui all' amaro viene riservato un posto importante. Per esempio, Il cardo, protagonista del primo piatto trattato seguendo le precise regole apprese dallo chef  Piergiorgio Parini, vegetale che Antonia Klugmann considera il migliore che abbia mai mangiato. La prima regola consiste nel non metterlo in ammollo in acqua acidulata e poi di cuocerlo al dente perché in questo modo non si sentono le fibre presevando così le sue caratteristiche primarie. In ultimo, il suo sapore dipende anche dal taglio del gambo. Il cardo viene messo a secco in una padella lionese rovente con un pizzico di sale in modo che l'umidità inizi a uscire pur senza la presenza di grassi che vengono aggiunti  in un secondo tempo per agevolare la prima  arrostitura. L'ultimo grasso è  un burro chiarificato alla salvia. Dopo pochi minuti il cardo ha raggiunto la giusta consistenza ed è pronto per l'impiattamento. Viene servito con una glassa di carciofo, con estratto di salvia in purezza, poche gocce di burro e poi le violette, raccolte da lei personalmente, che " non sono neutre"  in quanto nei suoi piatti non usa mai "fiori o erbe inutili". Protagonisti per i ravioli alle erbe amare e rapa bianca, piatto simbolo di Identità Golose 2024, sono la rapa bianca dal colletto viola allungato, tipica del Friuli, non facile da trovare e le erbe amare: foglioline tenere della cima di rapa, la rucola coltivata "che è una magia", e  il prezzemolo che addolcisce l'amaro delle altre erbe e porta delle note balsamiche interessantissime  all'interno del ripieno. Sono  ravioli che non contengono latticini ma una "crema di mandorle, acqua, un goccino di colla di pesce" in modo che la farcia  sia facile da lavorare. Quando la crema è ancora calda  vengono inserite tutte le erbe in modo da ottenere il ripieno. Una volta formati, i ravioli vengono cucinati da congelati e finiti in padella con olio, sale e acqua. Poi, nel piatto, ogni raviolo viene insaporito con una goccia di estratto di rapa e un disco di rapa cruda tagliata a velo. A finire, un predessert a base di cicoria.  La cicoria viene fatta saltare in una padella rovente, con pochissimo olio e poi passata all' estrattore in modo da ottenere un concentrato di cicoria poi gelificato ed emulsionato con mascarpone e panna montati. Si ottiene così un cremoso di cicoria che viene servito con una glassa di melograno in purezza ( se il sapore è troppo tannico si possono aggiungere un po' di miele e zucchero), glassa di cicoria, cioccolato bianco che gestisce il controllo dell' amaro e un pizzico di sale. Non c’è che dire, brava, bravissima Antonia.
(Photo credits: Brambilla- Serrani)

 Niko Romito: il contro esempio è funzionale
Un autentico colpo di scena virtuale!,Niko Romito appare al pubblico nella veste di un avatar digitale.E la sua voce metallica taglia il gran silenzio sceso nella sala annunciando il tema da lui scelto per il congresso:  " Il contro esempio come forma di evoluzione e non di dissobedienza". “I contro esempi - continua l’avatar - sono molto efficaci perché vengono usati come stimoli nei processi di ricerca o anche per insegnare il pensiero critico nell'ambito della formazione”. Nel suo caso il contro esempio  significa "mettere in discussione le convenzioni gastronomiche e sperimentare al di là dei confini tradizionali". In cucina un contro esempio può manifestarsi quando presentando un piatto rivisitato si dimostra che "esiste un’alternativa valida a una regola ben stabilita che rispetta i valori della tradizione madi ispirazione, mentre l'innovazione risiede nella capacità di osservare la tradizione da una nuova prospettiva, senza preconcetti, senza necessariamente rinnegarla e avere paura di metterla in discussione. Non è un atto di ribellione, ma una crescita continua, un dialogo costante fra presente e futuro. Ed ecco che l'Avatar sparire dallo schermo e  comparire sul palcoscenico Niko Romito in persona (grandi applausi) il quale conferma che preferisce interpretare la dissobedienza coma una "reintreprtazione istintiva, studiata e ragionata piuttosto che una trasgressione delle regole, giusto per trasgredire".  A conferma di ciò fornisce una serie di  "esempi di contro esempio" che dimostrano la sua attitudine a "fare cose"  per cercare soluzioni nuove mantenendo la sua idea gastronomica". Così parte da “un contro esempio concettuale”, l' Assoluto di cipolla, un piatto creato nel 2009 che dove su bottoni di parmigiano e pistilli di zafferano  si versa un assoluto caldo di vera cipolla. Un  liquido puro che ha un sapore al cento per cento di cipolla, ma che non poteva  chiamarlo "brodo", dato che nella letteratura gastronomica il brodo ha una definizione ben precisa. Quindi, forzando le regole espressive, ha trovato una nuova definizione che nel suo vocabolario gastronomico rappresentasse l'essenza pura della cipolla: sì, l’ assoluto. Altra sperimentazione la “Bomba 2015” che rappresenta la disobbedienza al pregiudizio verso un prodotto industriale.  Romito rivede questa ricetta in modo che presenti caratteristiche diverse da quelle della classica  dolce bomba fritta trasformandola in una bomba salutare senza grassi. Una bomba vegetale, prodotta in un laboratorio specializzato che gli consente di "scalare i prodotti”. Ma Niko Romiti non conosce confini. E, a dimostrazione che la cucina italiana, tra le più conosciute al mondo, può essere "codificata” con standard precisi e fruita con la stessa qualità e in contemporanea alle più diverse latitudini, rivela che, al riguardo, il suo  controesempio è quello di avere disubbidito ai codici perché il nuovo lusso dell' hotellerie di rango, è di attualizzare la cucina classica italiana". Non basta. Oggi a Dubai, a Shanghai, a Parigi, a Milano, a Roma, a Castel di Sangro arriva un prodotto della stessa qualità: lo spaghetto al pomodoro ,"un piatto apparentemente semplice che, precisa Romito,   posso ripetere in tutti e sette ristoranti del “Bulgari ” a Pechino, a Dubai, a Shanghai, a Milano, a Parigi, a Tokyo e a Roma" con uno standard preciso anche per quanto riguarda l'estetica. Una dimostrazione  che la cucina italiana, tra le più conosciute del mondo, può essere codificata da standard e fruita con la stessa qualità contemporaneamente in diverse latitudini". Qui il controesempio romitiano è di avere disubbidito ai codici perché il nuovo lusso nell' hotellerie di rango è di attualizzare la cucina classica italiana". La ricerca, la sua attenzione al nuovo continua e nel 2020 realizza un biscotto le cui caratteristiche non appartengono alla ricetta dei classici biscotti, privo come è di uova e grassi animali. Quasi un biscotto vegano. Il problema era quello di ottenere un biscotto buono, corposo, dal profumo avvolgente. Ma era molto difficile fare un biscotto così. Pertanto, la disobbedienza, il contro esempio è che questo biscotto della ricetta originaria e delle regole della pasticceria conserva solo il nome. Intanto la sua attenzione si sposta sulla foglia del broccolo, quella esterna che si tira via. In tal caso sono stati scambiato ruoli, posizioni e funzioni facendo diventare lo scarto la parte centrale del piatto, consegnando alla foglia la medesima dignità degli altri ingredienti. Di conseguenza, "dissobedienza funzionale": da comparsa la foglia diventa attore principale. Ma c’è ancora da raccontare  un altro contro esempio che riguarda la conservazione. Per il suo format di ristorazione su strada, “Alt Stazione del Gusto”, lo chef ha messo a punto la  ricetta in busta di una zuppa di grande qualità e senza chimica aggiunta, che si conserva per un anno a temperatura ambiente mantenendo le stesse caratteristiche gustative e nutrizionali del prodotto fresco. Una zuppa nata in laboratorio mettendo insieme una serie di ricerche ed esperimenti. Arrivati al gran finale Romito rivela di essere sempre più affascinato da questo lavoro fiducioso che il digitale e l’avanzare dei processi tecnologici possano aiutare la gastronomia dal miglioramento della componente nutrizionale di un piatto a far esprimere ogni ingrediente al 100% del suo potenziale". 
(Photo credits: Brambilla- Serrani)


 Stefano Epifani e Corrado Assenza: i naturalisti
Apre la lezione Stefano Epifani, presidente della Fondazione per la sostenibilità digitale, che mette in discussione la definizione di “Intelligenza Artificiale” sottolineando che il termine "intelligente" potrebbe essere fuorviante in quanto “non è intelligente, come è sbagliato il modo in cui viene definita questa sconosciuta nuova macchina di cui tanto si parla”. E, per completezza, si domanda: “Quanti dei nostri gusti nascono in realtà dalla paura del cambiamento? Chi si occupa di tecnologia e cucina parla, oggi, di tunnel cognitivo. La pasticceria ha abbandonato davvero i "soliti luoghi” ritenendo che "essere disobbedienti significa anche prendere la tradizione, rigirarla e ricordarci che esiste per essere cambiata”. Gli fa eco il saggio e quanto famoso Corrado  Assenza, pasticciere per definizione in tutto il mondo  ricordando che oggi il ruolo della pasticceria e del pasticciere, è quello di accompagnare i diversi momenti della giornata con dolcezze provenienti dalla Natura sottolineando a ragione che: "Sta a noi scovare ed estrarre la parte dolce”. E possiamo definirli due preziosi quelli che ci regala mettendosi al lavoro con i suoi aiutanti sotto i nostri occhi più attenti che mai.  Si chiama Dolce riso e verde selvatico,  un  risotto cotto in brodo vegetale con asparagi poco spadellati, finocchietto selvatico scottato in acqua bollente e passato in acqua e ghiaccio, cipollotto sciroppato in sciroppo di zucchero di cui si sente già il profumo in sala.  Un titolo più disinvolto, Che cavolo,  battezza invece una frolla preparata con la farina di Maiorca, un grano tenero siciliano. L'impasto contiene poco burro per evitare che il suo sapore sovrasti tutti gli altri: " Abbiamo sostituito la materia grassa con olio extravergine di oliva e abbiamo ridotto l’utilizzo dell’uovo e dello zucchero lasciando spazio al gusto della farina". Comunque la frolla viene arricchita con un'emulsione di acqua e  nocciola dei Nebrodi , olio evo e acqua dei fiori di arancio, con "Disidente" il buon cioccolato colombiano e con una semplice crema pasticciera ( latte, uova, poco zucchero e poco amido). E, per finire, un inedito cavolfiore bianco (scottato e raffeddato) in tutte le sue parti torsolo compreso e granella di nocciole. Poi, sempre gentile, annuncia la riapertura a Noto, del suo "Caffè Sicilia" a metà marzo ricominciando perché è tempo di "proporre il nostro lavoro di pasticcieri in ogni momento della giornata, incluso l’aperitivo, ricorrendo molto all’uso dei vegetali". 

Franco Pepe:  parla chiaro:"fotografate col palato!"
Decisi di abbandonare la pizzeria di mio padre perché sentivo la necessità di sfidarmi, di creare la mia identità" racconta  Franco Pepe, il ben noto pizzaiolo casertano, riflettendo sul ruolo avuto dalla disobbedienza fin dai primi passi in carriera. Infatti, il suo abbandono della pizzeria era stata in famiglia vista come una disobbedienza, mentre "io non volevo danneggiare o mettere in crisi nessuno: volevo solo iniziare un mio piccolo percorso. Fu così che il ragazzo, attento osservatore del suo territorio sempre in evoluzione che  portava ogni mese migliaia di visitatori nell'entroterra casertano, aprì a Caiazzo “Pepe in Grani”. Un impegno che esige tutte le sue forze. Al punto di creare un concetto di pizza innovativo, andando anche contro l'”Associazione Verace Pizza Napoletana” che lo ha addita subito come "apostata" solo perché in una intervista Franco aveva dichiarato che a suo parere non esisteva la pizza Doc o Dop, ma solo la buona pizza. Anche questo episodio incuriosisce stampa e pubblico portando un considerevole aumento delle visite a Caiazzo. Perfino e soprattutto dagli Stati Uniti, dando così a Franco Pepe il coraggio di arrivare alla "disobbedienza nelle pizze". Tra le sue creazioni più rivoluzionarie la “Margherita Sbagliata”, pizza che esprime al massimo il contrasto caldo-freddo per esaltare il gusto del locale pomodoro riccio. L'“ananascosta”, invece, nasce da uno studio sull'ananas senza pensieri preconcetti, ma solo cercando di capire le possibilità del frutto come ingrediente di una eventuale pizza che, comunque Pepe realizza suscitando un pandemonio tra favorevoli e contrari. Mentre l'”Acquerello Capriccioso”, rivisitazione della tradizionale “Capricciosa”, riceve un’accoglienza più curiosa in quanto permette al cliente di completare la sua pizza al tavolo con le verdure cotte separatamente in cucina e non tutte insieme sopra la pizza in forno. Nel finale del suo intervento a Identità Golose il pizzaiolo decide di andare “oltre la pizza” affermando che molto spesso questa pizza viene considerata più per l'estetica che per la sostanza. Tutti infatti fotografano la pizza ma, ragiona lui che è un esperto, non è detto che una pizza bella sia  necessariamente salutare, digeribile o sostenibile. E le pizze fatte in qualche modo non promettono bene. Anzi è più importante che mai una comunicazione al pubblico più diretta, assolutamente chiara, perché l'abbondanza di input proveniente dai social media, dai blogger e dagli influencer può distogliere l'attenzione da una “vera esperienza culinaria”. Insomma, concentrandosi troppo sull'aspetto visivo della nostra amata, amatissima pizza, si rischia di perdere, per esempio, il bel contrasto caldo-freddo della “Margherita Sbagliata”, vanificando così il lavoro e la cura profusi dal pizzaiolo nella sua preparazione. Pertanto, l’esortazione ripetuta di Franco Pepe è quella di "fotografare con il palato": solo così si potrà vivere un’emozione di pizza indimenticabile.
(Photo credits: Brambilla- Serrani)