Il Blog di Mangiare Bene

Eventi Golosi

Identità Golose 2025: terzo giorno

Buona lettura e arrivederci alla prossima Edizione di Identità Golose del 2026.
QUI il resoconto del primo giorno
QUI il resoconto del secondo giorno

Antonino Cannavacciuolo, Mauro Colagreco e Davide Oldani: la loro visione di un successo
L'ultima giornata di Identità Golose si apre con un talk, condotto da Paolo Marchi ed Eleonora Cozzella direttrice di "il Gusto" di "La Repubblica", dal tema "come si fa a continuare ad avere successo".  Per primo prende la parola Mauro Colagreco il tristellato chef argentino del Mirazur di Mentone che sottolinea come per lui " la definizione di successo è soggettiva e ognuno ne dà una sua interpretazione. Per me è sempre stato chiaro che la cosa più importante, ciò che mi sprona ad andare avanti, è la felicità dei miei clienti. Un cuoco può provocare felicità, sia che si tratti di un ristorante con tre stelle che di una pizzeria.  La felicità mi fa andare avanti e poi contano le persone: lavorare con una squadra, che nel mio ristorante va oltre la cucina e include un team dedicato a ricerca e sviluppo un aiuto per continuare a essere creativi". Antonino Cannavacciulo concorda con quanto detto da Colagreco ma aggiunge che per lui il successo " è una persona che va coccolata, va accarezzate mettendo l’asticella sempre più in alto per non fermarsi". L’importante è di avere accanto delle persone che vogliono avere il successo e che quando si è stanchi e si vuole mollare tutto ti danno la forza di andare avanti. Il cuoco è un imprenditore che lavora insieme a una squadra:"solo così si possono fare coe belle".  E alla domanda su come sia riuscito, pur diventando un personaggio televisivo con Masterchef, a non perdere la credibilità di cuoco risponde: “Io sono un cuoco, sono nato cuoco e morirò con la giacca da cuoco, Masterchef mi ha dato la forza di crescere e far crescere la mia azienda. In questi anni non ho mai lasciato la cucina, ho sempre chiesto di registrare le puntate nei momenti di chiusura di Villa Crespi. Finivo di registrare e un’ora dopo era già in cucina. Sono stati anni duri, ma alla fine ce l’abbiamo fatta”. Io e i colleghi che siamo su questo palco, abbiamo il comune il fatto di essere stati a Identità Golose vent’anni fa, abbiamo iniziato insieme – racconta Davide Oldani - " Per me, il successo è far succedere le cose, con umiltà e tenacia. Abbiamo investito sui nostri collaboratori, perché chi fa l’imprenditore deve tenere presente la parte umana, parlare ai giovani non di sogni ma di desideri, con una strada e obiettivi chiari da percorrere” . Si definisce più un artigiano intraprendente che un cuoco. Prosegue affermando che "non esiste solo il sacrificio, ma nel mestiere di cuoco e imprenditore deve esserci anche il piacere: “La nostra è un’attività che deve rendere conto non solo agli ospiti ma anche a chi ci lavora dentro, e dobbiamo dare valore e investire su chi lavora con noi. Con questo obiettivo abbiamo realizzato una scuola per i ragazzi della zona, in modo da creare opportunità di lavoro. Siamo nati in un’era in cui non c’erano i social – aggiunge Antonino Cannavacciuolo - Si cresceva piano piano con i giornalisti che venivano a provare il ristorante e magari ne scrivevano. Oggi un ragazzo che comincia a fare il cuoco ha subito telecamere addosso ed è un attimo sbagliare, ma io vorrei dire a tutti i giovani, prima di aprire un locale o mettersi su un palco, di studiare molto perché la gente si accorge se stai raccontando frottole o se il tuo lavoro è maturato nel tempo. E Oldani aggiunge che "un ragazzo deve capire che non si può ottenere tutto subito ma ci sono sacrifici e obiettivi. Ho voluto creare l’Istituto Alberghiero Olmo per dare valore alle persone del territorio e per agevolare i ragazzi ad essere vicino a casa, facendo crescere queste due anime insieme. In questa scuola si insegna tutto: ospitalità, bar, sommellerie, panificazione, pasticceria e cucina. I ragazzi hanno bisogno di motivazione e di esempi, che sono la più alta forma di insegnamento, come sottolineava il signor Marchesi".


Antonia Klugmann: una cuoca unica che amalgama la natura
" Penso che il compito principale di un ristoratore sia mantenere un orizzonte di senso nella quotidianità e nel percorso del ristorante." Da questa premessa parte la lezione di Antonia Klugmann che condivide con la platea le domande "la mia bussola" che ogni giorno si pone assieme alla sua squadra per delineare il futuro del suo ristorante: "Cos’è l’innovazione per un ristorante piccolo come il nostro? Come si può fare?Come si fa a migliorare? Cosa è la ricerca? E cosa vuol dire originalità? Serve per il progresso? E il progresso personale e collettivo seguono una linea comune? Come si fa a migliorare? Come ci si muove stando fermi? Da dove vengono i piatti nuovi? Sono davvero nuovi? Siamo utili o inutili?  Il cliente se ne accorge? Muoversi verso il futuro significa cambiare? Il cambiamento è lineare? La ricerca personale può diventare la domanda di un gruppo?" Utilizza la metafora della ballerina che danza sulle punte per descrivere la sua cucina: più l'esecuzione è perfetta, meno lo spettatore percepisce lo sforzo dietro al gesto. "Ciò che conta davvero è che il messaggio del piatto arrivi all’ospite attraverso il palato. Un piatto non deve essere spiegato per acquisire valore, non è necessario che chi lo mangia venga informato del tempo e dello sforzo impiegati per arrivare a quel risultato". Passa poi alla presentazione di tre ricette che "sono una mia risposta a queste domande". La prima ricetta è un piatto di recupero: Pane che rappresenta in maniera perfetta quello che è per lei il percorso di quest'anno: "il piatto più longevo che ho in carta". La pagnotta ammollata e ridotta in crema che glassa una fetta arrostita in padella dello stesso pane, ammorbidita in acqua con acqua di semi di finocchio, riduzione di vino bianco e cipolla. Un piatto che attualizza il lavoro già fatto sulla tipica panada friulana. Latte fermentato che scaturisce da un’idea nata da una sua  visita in Sardegna di qualche anno dove è rimasta affascinata dalla capacità del latte di cagliare per semplice acidificazione. Senza fare nulla, il latte portato a 38° poi lasciato a temperatura ambiente di cucina per 15 ore, caglia in maniera spontanea e si scompone in una pasta acida di latte e in un siero. Lavora con la frusta questa pasta aggiungendo poca farina e un pizzico di sale, la inserisce in una sac à poche e si fanno i gnocchetti. Il siero invece, mescolato con maizena e un po’ di sale, diventa una salsa. Si impiatta tutto con una gelatina alcolica di Ramandolo, pepe bianco che garantisce sfumature interessanti e tartufo bianchetto friulano. Il latte, scomposto da un processo naturale, viene ricomposto in un piatto. Chiude coi Raviolini di bacche rosa e albicocca, quasi traslucidi a rivelare il colore del ripieno, conditi nel piatto – senza spadellamento – con un ragù di cima di rapa, una centrifuga di cima di rapa, senape ammollata, succo di limone, sale e un estratto di salvia emulsionato con burro noisette.


Nico Romito: lo chef s’identifichi nelle sue radici
E’ uomo che parla educatamente. E’ un signore che studia la cucina. E’ un grandissimo chef ha affermato: "Basta copiare modelli che non ci appartengono. Lo chef si identifichi nelle sue radici e le faccia esplodere". Le tre stelle dell' abruzzese Niko Romito sono un richiamo irresistibile per tutti i ragazzi che affollano il salone, ma quello che li stupisce è la sua idea di cucina e il suo modo di spiegarla con la semplicità delle parole che spiegano “come la rivoluzione si fa andando all' Essenza della materia che è bellezza e verità”. Dal 2007 Nico Romito non è mai mancato al Congresso di Identità Golose e ancora ricorda l’invito: "Non mi pareva vero, quando ho iniziato non ero consapevole di quello che stavo facendo e l' agitazione della prima volta si rinnova ad ogni appuntamento. Quest' anno poi il “Reale”, il mio ristorante compie 25 anni, ha cambiato la vita a me e a mia sorella Cristina. Ho 50 anni e ho molto in comune con lo spirito del Congresso:il passato ci deve proiettare nel futuro, la storia si conserva nei musei, noi dobbiamo anticipare una direzione". E, al riguardo, è importante controbattere chi decreta la morte del fine dining: "Non è così, ma è vero che il fine dining deve diventare l'inizio di una riflessione potente, dobbiamo accendere scintille che generano una cucina di ricerca capace di guardare al passato e alla tradizione come base e stimolo per inventare la cucina del futuro". E qui arriva l' attacco decisivo: "L' errore è stato quello di copiare, di guardare a modelli che non ci appartengono, d' imitare quello che fanno gli altri perdendo la verità, la nostra verità che è qualità e concretezza. Non abbiamo usato il bagaglio enorme delle nostre tradizioni per disegnare il futuro”. Sullo schermo passano
alcuni dei suoi piatti più famosi come l' Assoluto di cipolle, il Carciofo e rosmarino, l' Insalata tiepida di bieta, la Pasta, verza, rafano e brodo... che già dal nome essenziale e schematico stimolano l'altro dogma di Romito: "Basta scena, abbellimenti e frivolezze. Teniamoci stretta la nostra identità territoriale e personale. Se io dovessi aprire una scuola sarebbe di cucina classica. Lo chef s’identifichi nelle sue radici e le faccia esplodere». Lo chef usa proprio un verbo forte come esplodere e fa anche di più quando dice che non è d' accordo con chi sostiene che per rispettare la materia prima occorre mantenerla nella maniera più integra possibile: «Io la polverizzo, la distruggo e poi la ricostruisco. Una carota la scompongo e ricompongo per cercare il gusto puro e ritrovarla così al palato in forma differente. Stessa cosa per la foglia, ne rispetto la forma, ma vado a scartavetrarne gli aspetti nascosti per portare alla luce l' anima della materia. Mi piace
ricostruirla in una forma più elevata e più utile al risultato finale". Romito spiega anche che non tutto è semplice e non tutto è immediato. Occorrono tanto studio, tante prove, tanti tentativi ed altrettanti fallimenti, ma sottolinea che "ogni chef può arrivare a trovare la propria strada, come ho fatto io da autodidatta. Studiandosi e ponendosi domande. E' stato così, per esempio, quando mi sono concentrato sul rapporto tra intingolo e pasta: da “spaghetto col pomodoro” sono arrivato a “spaghetto e pomodoro”. La consistenza è un ingrediente fondamentale per trovare l' equilibrio di un piatto che non arriva mai al primo boccone". Niko Romito soggiuge: "Bisogna trasformare per arrivare al risultato e scoprire che quella tecnica può esseremessa a sistema, diventare forza per il mio piatto e ristorante, ma anche di altri". E poi ha spiegato come “è proprio con gli ingredienti più semplici che puoi dare il meglio se solo sai arrivarne all' Essenza, che poi è un assoluto. E' bellezza, verità, trasparenza. E non accetta compromessi: il piatto o è fatto bene o è fatto male". E qui si rivela un altro lato di Romito che afferma di amare molto il design e l' architettura di Mario
Botta e Carlo Scarpa. Il suo approccio materico nasce proprio da quel modo di costruire: "Mi affascina il materiale grezzo che diventa altro. Trasformare per arrivare al risultato e scoprire che quella tecnica può essere messa a sistema, diventare forza per il mio piatto e il mio ristorante, ma anche di altri, per far crescere insieme la nostra cucina. E' importante il potenziale futuro che può generare». Non si può dire che Nico Romito non sia bravo. Tanto bravo.


Massimo Bottura: l'ospite più atteso al convegno.
Sarebbe inutile parlarne perché Massimo Bottura è l’uomo e lo chef più conosciutolo al mondo. Ma giova sempre ripeterlo non perché qualcuno l’abbia dimenticato, ma perché Bottura è un produttore continuo di idee legate al mondo della cucina: apre ristoranti ovunque , scrive importanti libri, inaugura refettori a Milano, Bologna, Modena e, poi, a Rio de Janeiro, Parigi e Londra. Ma, questa volta, a Identità Golose ha parlato a tutto tondo dell’ ”evoluzione della cucina italiana resa possibile grazie a questa continua tensione tra miseria e nobiltà”. Ed ha suddiviso bene il discorso: da una parte, il rispetto per le radici e per le ricette nate dalla necessità. Dall’altra parte, l’ambizione di raffinarle, di elevarle a simboli culturali. Motivo per cui  la cucina italiana dovrà innovare senza dimenticare il passato, sperimentare senza dimenticare le sue origini, valorizzare il passato senza cadere nell’omologazione globale. Un bel compito. Un gran compito. Che, qui, raccontiamo riportando alcune frasi del suo discorso che hanno lasciato un segno. Per esempio: la nobiltà della nostra cucina non è nata dal lusso o dall’impiego d’ingredienti costosi, ma dalla raffinatezza con la quale si tramandano le tradizioni; in Italia anche  il più semplice piatto di pasta asciutta è un atto culturale a comiciare dal rispetto della cottura al dente, dalla sapienza nel saper combinare sapori e consistenze; ogni famiglia conserva segreti e rituali; ogni regione vanta la propria cucina unica, ma sempre legata alla identità del territorio. Passa poi a presentare tre ricette che fanno parte del nuovo menu " Miseria e Nobiltà" iniziando con Pane e Acqua un piatto il cui nome cita l'alimentazione più essenziale, e più povera, che l'uomo conosca: il piatto nato da questa esplorazione propone l'acqua in due forme antipodiche, un'acqua di ostriche, quindi nobile e ricca, e un'acquacotta, con la sua storia popolare, umile. In quest'ultima vengono inzuppati dei pezzi di pane croccante, per poi essere posati su una base di chawanmushi di ostriche, con anche un concentrato di acqua cotta alle ostriche, dragoncello e foglia d'ostrica. Il piatto viene poi terminato con una decorazione che ricorda il camouflage già reso celebre da Bottura: una parte croccante, con del pane tostato alle erbe, e una parte verde, con i gambi di sedano e prezzemolo sminuzzati. Il piatto successivo parte da una ricetta profondamente popolare, che come è stato detto dal palco «cambia anche solo spostandosi di pochi chilometri, con infinite varianti che attraversano tutta l'Italia»: la Pasta e fagioli. Fagioli o pasta? Questa potrebbe essere la domanda da farsi trovandosi di fronte il nuovo piatto Fagioli di pasta della Francescana: la cui cucina usa farine di grani antichi e farine di fagioli per creare una pasta che però ha la forma e il colore dei fagioli. Il piatto viene mantecato con midollo, con un brodo di carne molto intenso, quasi gelatinoso, in cui vengono messi in infusione anche gli scarti del prosciutto. Poi, per ricordare i profumi delle minestre del Centro Italia, si aggiungono anche degli oli, al cavolo nero e al levistico. La terza e ultima anteprima svelata sul palco di Identità Milano 2025 da Massimo Bottura e dalla sua squadra ha un nome che ricorda altri grandi successi di quella cucina: La faraona arrosto che voleva diventare panettone. Un lievitato, dal profumo intenso di faraona, e in cui la parte croccante del panettone, la glassa superiore, viene realizzata con la pelle della faraona. Il piccolo panettone/faraona viene poi servito con "la salsa che Mirella Cantarelli serviva a Samboseto negli anni '60, quando portava in tavola la faraona arrosto al coccio". Rispetto per il passato e slancio verso l'innovazione, si diceva. Un gran, un grandissimo bravo a Massino Bottura. Per il quale “Miseria e Nobiltà” sono l’essenza della nostra cucina.