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MUDET, il museo del tartufo

  Si chiama Mudet  ed è il nome del Museo del Tartufo, inaugurato lo scorso ottobre ad Alba l’antica cittadina piemontese che, da sempre, deve al prezioso fungo ipogeo parte della sua fama. Quindi il Mudet è un dovuto riconoscimento sviluppato in quattro sezioni tematiche suddivise in dieci sale che raccontano la storia di questa meraviglia vegetale, dall’aroma intenso e dal sapore unico, che il tartufo bianco d’Alba esprime ai massimi livelli. Alle origini nascosto nel buio della terra, poi nella piena luce di una tavola apparecchiata in suo onore, il tartufo offre insieme straordinari saperi e sapori. 


Entriamo al Museo
Ricavato nello storico edificio circostante il Cortile della Maddalena, il Mudet si trova nel centro storico della cittadina dove, da ottobre a dicembre, si svolge ogni anno la Fiera Internazionale del Tartufo d’Alba
Nella foto, l'ingresso di Piazzale Giovanni Falcone.


Di sala in sala
Progettato da un team di architetti guidato da Antonello Stella, il museo è articolato su due livelli. Al piano terra la biglietteria,il bookshop, la caffetteria ed il guardaroba. Poi, risalendo un maestoso scalone, si accede all' area espositiva del primo piano dove una sequenza di stanze tematiche che raccontano, lungo 10 sale, tutte le particolarità del tartufo attraverso quattro filoni principali – l’uomo, la natura, la cucina e la cultura.  Il visitatore, potrà scoprire, immerso in un’atmosfera notturna simile a quella che accompagna la sua ricerca, l’ampio universo che ruota intorno al tartufo. E' un antico retaggio, tramandato attraverso generazioni, di racconti e aneddoti che dipingono un quadro ricco di saggezza, dove si intrecciano in assoluta armoniala la vita rurale, la custodia attenta del territorio e la raffinatezza culinaria.


Indispensabili per la cerca

In vetrina gli “accessori” del trifolao, ovvero l’uomo cercatore dei tartufi. Primo fra tutti il cane che, grazie al suo fiuto finissimo percepisce i profumi rilasciati da questo fungo ipogeo. Seguono la vanghetta "sapin"- necessaria per estrarlo, il panno di cotone per avvolgerlo e una torcia. La "cerca" dei tartufi infatti si svolge di notte. Da parte sua la luna accompagna sempre l' attività del trifolao, scandendo i tempi di maturazione dei tartufi. A luna crescente si trovano i tartufi superficiali di solito piccoli e poco profumati. A luna calante invece quelli più grandi e profumati. Mai cercarli a luna piena. Infine, per i nostalgici, La cappa di panno ed il bastone che facevano parte dell' abbigliamento di una volta. 


Il tartufo a tavola

Il miglior modo per gustare il tartufo bianco d'Alba è di servirlo tagliato a sottili lamelle su due uova al  piatto oppure su un fumante intreccio di tajarin o sulla carne cruda battuta al coltello possibilmente di fassone di razza piemontese. Comunque, una goduria per il palato.   


“Truffle hunters and their dogs”

I trifolai e i loro fedeli cani da “cerca” visti da Steve Mc Curry. Nella foto alcuni degli scatti de famoso fotografo americano che testimoniano il profondo legame che unisce i cercatori di tartufi  ai loro fedeli cani chiamati “taboj” in dialletto piemontese. Questa mostra fotografica fa parte dell' allestimento permanente del Mudet, il nuovo Museo del Tartufo di Alba. Davvero una mostra che vale una visita.


E' buono il mio tartufo?
S' imparano sempre cose nuove assistendo alla lezione di analisi sensoriale del tartufo bianco d'Alba tenuto Stefano Cometti  nello spazio polifunzionale per attività didattiche del Mudet. In altre parole vista, tatto e odorato sono i sensi che ci aiutano nell’impegnativo compito di giudicare quanto buono o meno sia il nostro tartufo. Cominciamo: alla vista, il colore deve sfumare dal giallo paglierino alla nocciola; al tatto, la consistenza rivelarsi turgida, compatta, leggermente elastica, nè troppo dura nè troppo elastica; all’odorato, il profumo dovrebbe esalare ben cento piacevoli sfumature. Mentre assolutamente da scartare sono i tartufi che denunciano un sentore di ammoniaca. E' importante inoltre annusare questo prezioso fungo, in latino tuber magnatum pico, da tutti i lati con molta cura per essere certi della sua assoluta bontà. 
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