Il Blog di Mangiare Bene

Eventi Golosi

Olio Officina Festival 2023

L’olio è tante cose importanti. È progresso. È paesaggio. È cultura. È condimento per il palato e  per la mente. E, ad ognuno di questi aspetti, hanno dato voce scienziati, professori, dietologi, artisti, produttori e chef. Non solo. Luigi Caricato, fondatore  del Festival Olio Officina, ha pensato questa volta anche ai bambini con l’edizione  di un numero speciale  a loro dedicato nell’intento di educarli, abituarli, fidelizzarli al piacere e alla conoscenza dell’olio. Come pure per gli adulti ha visto la luce l’edizione di un Manifesto per la promozione di un design oleario etico e sostenibile. E, anche quest’anno, per la cartolina promozionale dell’evento con relativo francobollo. MangiareBene offre ai suoi fedeli lettori il resoconto delle tre giornate. Fiilate lisce proprio come l’olio.

L' italian sounding è come l'araba fenice.
Il professor Michele Antonio Fino(Università di scienze gastronomiche di Pollenzo) ha parlato dell' Italian Sounding in  modo completamente diverso da come viene presentato attualmente: "Nessuno fino ad oggi ha definito che  cosa sia l'Italian Sounding e ciò costituisce un grosso problema perché il nostro diritto, quello di uno Stato occidentale, recita  chiaramente che se un "crimine non è definito a priori non lo si commette”. Quindi dietro a questo continuo richiamo all'Italian Sounding , appunto lo stile italiano che piace a tutto il mondo, c'è una quantità di riferimenti culturalmente molto potenti sulla mente del consumatore per indurre all’acquisto che si traducono a qualcosa di analogo al punibile”.  Quali sono  allora le difficoltà di carattere tecnico che impediscono di stabilire l'ipotetico reato di Italian Sounding? Occorre che sussista l'inganno per chi compra. In ogni modo la tutela internazionale è garantita quando si usurpa un marchio o un' indicazione geografica protetta (IGP). Per esempio, se viene prodotto un finto parmigiano reggiano Dop, questo ottiene la tutela, mentre se si produce un prodotto battezzandolo "parmesan" questo ottiene tutela in Europa, ne ottiene poca fuori dall’Europa e non la ottiene affatto negli Stati Uniti. E, per maggior chiarezza, il professor Fino riporta un altro esempio: il Parmesan del Wisconsin, prodotto da casari americani di origine italiana ed è fatto come il parmigiano reggiano 80 anni fa si faceva da noi: più basso, più stretto e con una pasta che in Italia non si fa più. Bisogna quindi aiutare il consumatore a vederci chiaro e a capire meglio "rispetto a concetti di origine che hanno un peso e una consistenza per cui trovano il loro riconoscimento pubblico".


L'importanza della transculturazione
Nel suo intervento il professor  Luigi Cazzato (Università degli studi di Bari "Aldo Moro") fa delle considerazioni di come l'autenticità del cibo si intrecci con quella della sua identità e delle sue radici culturali. Sottolinea l'importanza della  transculturazione portando ad esempio la storia dello zucchero e del tabacco cubani che non sono soltanto una storia di semplice  acculturazione (acquisizione di un' altra cultura) ma di transculturazione ( acquisizionedi una nuova cultura restituendo un prodotto nuovo ma contaminato con la propria cultura). Prosegue con l'esempio della autentica dieta mediterranea che l'antropologo Iain Chambers  così presenta " le arance e i limoni introdotti dagli Arabi dall’Estremo Oriente, e così il riso; le melanzane dall’India; le pesche e gli alberi di cipressi dalla Cina attraverso la Persia, la canna da zucchero portata dall' India all' Egitto e poi introdotta a Cipro nel X secolo e nella Sicilia araba nell' XI, infine il viaggio a ponente attraverso l' Atlantico fino alle Americhe, donde sarebbero poi giunti i pomodori, i fichi d’India,i fagioli, il granoturco, il peperoncino ed il tabacco." Si scopre così che la dieta mediterranea dichiarata patrimonio immateriale dell' Umanità nel 2010 è in verità il patrimonio di una "vastissima umanità ovvero di un vasto processo di trasculturazione".  Conclude con questo pensiero dell' antropologo cubano Fernado Ortiz " la modernità è nata anche grazie al cioccolato, al caffè, al té e a tutti quelli eccitanti della ragione che hanno potuto sconfiggere la sonnolenza, il torpore della tradizione teologica". Un punto di vista interessante.


La fiducia è essenziale
Maria Giovanna Onorati 
(Università di scienze gastronomiche di Pollenzo) sottolinea nel suo intervento come la fiducia sia un concetto sociologicamente importante anche per quanto concerne il diritto. Il concetto di fiducia è stato messo a dura prova in questi ultimi anni. Non a caso il dizionario Collins, che ogni anno fa conoscere la parola più digitata sulla rete, ha indicato come parola dell' anno "permacrisis" un neologismo che indica un esteso periodo di instabilità e di insicurezza. Questi fattori di instabilità mettono in crisi la fiducia che nella società moderna è "l'elemento fondamentale attraverso cui si rinnova continuamente un patto fra gli individui e le istituzioni sociali. La fiducia è inoltre  essenziale per fare dei pronostici che probabilmente saranno veri pur in mancanza di una informazione completa." Nella società contemporanea la fiducia è "qualcosa  che avviene tra soggetti assenti". E con le crisi globali le capacità di contenere il pericolo entro un perimetro controllabile sono saltate. Quando la fiducia entra in crisi la sua antitesi non è la sfiducia ma la paura.
L'etichetta è l'emblema simbolico attraverso il quale noi dialoghiamo idealmente coi sistemi esperti ( Enti certificatori, Unione Europea ecc) che ci forniscono tutti quei quadri in cui vengono elaborati questi emblemi. L'etichetta nel 2022 più che informativa, diventa sempre di più evocativa di identità o di appartenenza. In Italia le priorità  del consumatore nella scelta del cibo sono basate sulle seguenti prerogative tutte al 94%: Cibo proveniente da filiera corta; qualità garantita da un' etichetta, conformità alla tradizione locale; origine di un' area geografica conosciuta. E' una forte richiesta identitaria che poi si intreccia con una serie di sentimenti nazionalistici e protezionistici. In conclusione gli italiani sono disposti a fare un sacrificio economico premiando il prodotto 100% italiano anche in condizioni di acquisto ridotto.

I brand tra  narrazione e contronarrazione
Il professor Filippo Silvestri (Università degli studi di Bari "Aldo Moro") ha ricordato che la "brand identity” (identità di marca) e la sua costruzione iconologica tra narrazione e contronarrazione è un tema ben noto da tempo. E, a conferma, porta l'esempio tra i marchi IBM e Apple e Coca Cola e Pepsi. Se agli inizi degli anni '80  quello tra IBM e Apple  è stato un confronto tra segni grafici e iconologici che si dissolsero in una contrapposizione  fra quello classico dell' IBM e quello barocco di Apple. Mentre quello tra Coca Cola e Pepsi è stato non solo un confronto di gusti e di costi,  ma un confronto fatto a stretto giro di narrazioni e contronarrazioni tramite raffinati spot pubblicitari. Ciò significa che Coca Cola fa uno spot e Pepsi risponde con una contronarrazione. E sulla distanza hanno vinto Apple e Coca Cola in quanto entrambi i marchi sono stati capaci di rimanere sul mercato in un confronto continuo fra chi compra e consuma. La Coca Cola  vince perché è più buona e questo è un dato di fatto: non basta avere un bel packaging o un bel design, un prodotto deve essere innanzitutto buono. Inolttre è diventato cruciale e fondamentale il concetto del "prendersi cura", ossia l'attenzione verso ciò che si mangia perché può fare bene o male. Il professor Silvestri proseguendo il suo intervento ha spiegato il concetto del brand marketing 4.0: "siamo dentro all' infinito regno dei troll nel senso che entrano nel tuo profilo e nel giro di 5 minuti dicono che il tuo prodotto fa schifo". Come si può governare questo fenomeno? Sinceramente non  c’è una risposta perché il "troll non ha un’etica, il troll è spietato: entra, colpisce e se ne va”. Auguri a tutti.


Guardare il cibo come specchio della società
Sarah Siciliano
 (Università del Salento) ha ricordato le parole chiavi che, capaci di tradursi in dimensioni utili, fanno parte di un sondaggio che a breve sarà pubblicato. I dati valutati sono stati quelli di Tik Tok perché ritenuti i più attendibili. Sono emersi così 5 nuclei tematici. L'hashtag in assoluto più frequente (50.8 miliardi) è #Yummy, il suono onomatopeico emesso dai bambini quando mangiano qualcosa che è buono. Suono collegato a #ASMR (Autonomous Sensory Meridian Response) in quanto "esprime l'erotizzazione del cibo promosso dai social media. Ossia il feticismo estetico di un cibo decontestualizzato (sganciato dalla sua origine) e sottoposto a una manipolazione digitale per generare stimoli sensoriali più adatti all' immediatezza social". Segue #streetfood (17.9 miliardi), #Tfood, il cibo sano collegato al cibo italiano, vegano, prevalentemente fresco e di filiera corta e infine #italianfood, cibo italiano collegato al cibo sano, al cibo gourmet e di qualità elevata.


Oltre la lattina

Oltre la lattina
Il Museo Guatelli, espone una collezione unica al mondo di oltre 6000 lattine per olio realizzate tra la fine del 1.800 e i primi decenni del 1.900 destinate alla comunità italiane residenti  soprattutto nel  Nord e Sud America ed Australia. Realizzate da famosi illustratori dell' epoca, oltre ai tradizionali paesaggi d’Italia evocavano il ricordo di monumenti, personaggi storici, artisti, santi.  Alcune di queste sono state portate a Olio Officina per essere esposte assieme a quadri e sculture di Riccardo Guatelli che le  ha realizzate con il materiale di scarto delle lattine stesse. La testa di donna, dallo sguardo profondo e sereno, è opera dell' artista ELEkeramos che  ha voluto reinterpretare in ceramica le donne rappresentate sulle lattine d'olio della collezione Guatelli. Lodevoli scambi di cortesie tra gli artisti.

Olio di lentisco: un olio tutto da scoprire
Alberto Fachechi dell' azienda Fachechi  chiarisce subito che l'olio di lentisco è un olio molto particolare che non ha niente a che vedere con quello di oliva, a cominciare dall’ aroma molto balsamico e resinoso. Le sue drupe, di un rosso caratteristico, si raccolgono da un arbusto tipico della macchia mediterranea dove cresce spontaneamente e, in caso di siccità, si adatta facilmente. Inoltre avendo pochissimi parassiti naturali  non necessita di alcun tipo di manutenzione. Per ricavare l’olio, sul finire dell’autunno, si raccolgono le piccole drupe (4/5 cm di diametro) che  hanno raggiunto la piena maturità  cambiando colore: da rosse sono diventate nere. La raccolta si effettua a mano e i frutti, trattati con delicatezza, vengono lavati e liberati dalle impurità quindi, per l’estrazione, si procede come per l'olio di oliva. Il lentisco viene estratto a freddo e la sua resa intorno al 2% è alquanto bassa: da 50 Kg di bacche si ricavano soltanto 200 ml d'olio! Quanto al suo  uso pratico, in dermalotogia il prodotto è pronto per essere applicato direttamente sulla pelle per alleviare il fastidio di eventuali pruriti, come pure è un ottimo cicatrizzante. Per quanto riguarda l'impiego in cucina è un valido condimento, ma dato il suo aroma intenso bastano poche gocce  per insaporire piatti a base di pesce, carne o verdure. Lo chef Giuseppe Capano (consulente alimentare e scrittore di libri di cucina) consiglia di usarlo con le stesse avvertenze che si hanno per le spezie, cioè in minime quantità per non sovrastare  gli altri sapori della preparazione. All'assaggio di una sua ”mousse di pere e ricotta” profumata con una sola goccia d’olio di lentisco, la nota percepita dal palato è risultata decisamente balsamica.

Bisogna riaccendere il focolare domestico
Rosalia Cavalieri docente di filosofia del cibo e teoria dei linguaggi, nonchè autrice di molti saggi (ricordiamo “Il naso intelligente” e “Quando il cibo diventa piacere”), ricorda che quello che distingue gli uomini dagli animali è il loro cuocere il cibo prima di mangiarlo. Se per millenni abbiamo cucinato senza chiederci quali fossero i principi di causa ed effetto implicati nella preparazione dei cibi, "perché il soufflé si gonfia o perché il carapace del gambero cuocendo diventa rosso?", ciò si è tradotto nella nascita della cucina molecolare e delle sue derivazioni come la nuova cucina nordica di René Redzepi. Una cucina sperimentale che fa ricorso a una strumentazione tecnologica d'avanguardia come sonde a ultrasuoni, disidrattatori, sifoni, roner, pacojet; a ingredienti particolari come alginati, lecitina di soia; a metodi di cottura meno invasivi e abbinamenti di sapori alquanto insoliti. Con il risultato di piatti bizzarri dalle forme e dalle consistenze inedite (come spume, arie, sfere) ovvero piatti che devono stupire e far vivere al commensale una esperienza sensoriale a tutto tondo. Sebbene il progresso in cucina sembri inarrestabile, bisogna prendere atto che le trasformazioni socio economiche verificatesi negli ultimi 60/70 anni e l'avanzare dell' industria agrolimentare hanno portato a tavola un cibo meno sano (ricco di sale e di sali, come pure di zuccheri) rispetto a quello preparato nelle cucine domestiche dei secoli passati. Insomma, la vera sfida è non perdere di vista quel filo culinario che ci riporta all’ origine della specie umana. Quindi bisogna riprendere dimestichezza nella scelta e nella lavorazione degli ingredienti delegati oggi all' industria alimentare; bisogna riaccendere il focolare domestico e tornare a cucinare sul serio;  bisogna restituire alla cucina casalinga il ruolo di volano che aveva nella vita familiare e relazionale del tempo che fu.


La critica gastronomica è una cosa seria
La critica gastronomica, riconosciamolo, è ormai sulla bocca di tutti. Anche di improvvisati critici in materia che purtroppo rovinano questo nostro ricco patrimonio d'ingredienti, sapori e know how . Così, in difesa del settore, Valerio Massimo Visintin, critico gastronomico de Il Corriere della Sera, ha presentato a Olio Officina il suo libro “Dietro le stelle”. Si tratta di una agile storia della materia che inizia con la citazione di Luigi Veronelli, Mario Soldati ed Edoardo Raspelli che ne furono le prime firme. In particolare l’autore si sofferma su quest'ultimo ricordando, era l’anno 1976, le tre regole che secondo Raspelli sono indispensabili per svolgere professionalmente il ruolo di critico gastronomico: mantenere l’anonimato, scrivere su quello che si è mangiato, saper scrivere bene. A distanza di 50 anni, secondo Visintin “la situazione è ottima nel senso che quasi nessuno ha mai seguito tali regole”. Poi, meno ironicamente, ha spiegato le tre regole. Perché l’anonimato? Per non essere riconosciuti dal personale o dal proprietario dei locali visitati ed evitare probabilmente trattamenti di favore. E scrivere su quello che si è mangiato che cosa sottointende? Oggi vi sono persone che si buttano nella critica gastronomica ritenendola una “materia” del tutto domestica, quindi da poter essere facilmente governata da chiunque, quindi che non occorre alcuna conoscenza specifica. No, non è così: oggi si scrive anche per "scroccare un pasto". Infine, perché “occorre saper scrivere bene?” Occorre forse spiegare che scrivere male  non è professionale?  Nel libro si parla anche dell’attuale situazione dei ristoranti italiani  e il pensiero dell’autore in base ai dati non è ottimista. Dal 2015 c'è stata una "fioritura di nuove insegne", poi nel tempo questa crescita ha incominciato a rallentare e, addirittura, le chiusure oggi risultano molto di più delle aperture: in questi ultimi due anni  sono nate circa 18.000 nuove insegne e di contro se ne sono inabissate ben 45.000. Le ragioni? L’impreparazione di chi investe i propri soldi in questa avventura e poi fallisce. I soldi della malavita organizzata che costituisce il 20% della ristorazione italiana. I non imprenditori che devono ripulire i soldi in nero. Altra causa, la tantissima improvvisazione con l'idea che non sia difficile gestire un ristorante, lavoro invece molto molto difficile. Anche per quanto riguarda la mitizzazione degli chef italiani  Visintin ha ragionato sui dati che rappresentano lo 0,1% dei nostri ristoranti. Davvero una infinitesima parte. Alla fine, ironizzando sul valore letterario delle critiche gastronomiche, il mascherato autore del libro riporta una selezione delle frasi pronunciate due anni fa sul palco di Identità Golose dagli chef  stellati e non stellati che si sono succeduti : "Il cibo nella bocca crea uno storytelling". "Il giallo è cultura e cultura è il territorio". "Il raccolto tra sugo e pasta è interpersonale". "Il gusto sul quale stiamo lavorando in questo momento è il rancido come racconto egoistico di un palato umido". Ai lettori scoprire chi le ha  dette.
Nella foto:  Luigi Caricato, Ilaria Santomanco, scrittrice e somellier e Valerio Massimo Visintin
Compra il libro QUI

L'olio con il pesce d'acqua dolce
Matteo Scibilia 
è uno dei pochi cuochi che a Milano propone piatti di pesce di lago e di fiume.  A Olio Officina ha portato in assaggio “il salmerino in carpione” con il pesce sfilettato, tagliato a cubetti, infarinato e poi  fritto in abbondante olio di semi . A doratura  avvenuta la frittura si trasferisce  via via in un contenitore di plastica. Nel frattempo si è versato in una casseruola dell'aceto bianco e, in tempi separati, vi si cuociono le verdure: prima le carote e poi cipolle, sedano, uvetta che una volta cotte a puntino si lasciano raffreddare nel loro liquido. Quindi si versa il tutto sui cubetti fritti di salmerino fritto e si lascia marinare la preparazione in frigorifero per 2 giorni.  Al momento di servire a tavola un giro d’olio Evo Ligure extravergine completa il piatto. Un sapore fresco le cui sfumature soddisfano il palato.


Il bello delle tovagle macchiate

Nei chiostri del Palazzo delle Stelline, stese sui prati,  si ammiravano le bottiglie e le confezioni premiate nel contest “Le forme dell'olio” per la loro inedita originale fantasiosa eleganza. Nel giardino interno l'associazione fondata da Ornella Piluso, “Arte del Mangiare mangiare Arte”, ha rinnovato la sua partecipazione a Olio Officina Festival con l' installazione battezzata “Macchia dopo macchia: la tradizione avanza” dove una serie di grandi tele-tovaglie macchiate ad arte componevano un’opera collettiva. Macchie d’olio che si espandono nello spazio e nelle trame di tessuti che diventano tele rappresentative della convivialità oltre che di un moderno simposio dove l’olio è protagonista per un’intuizione colta immediatamente dall' artista.