Il Blog di Mangiare Bene

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Paolo Marchi

Paolo Marchi occupa un posto di rilievo nella cultura gastronomica italiana ed è il mio foodwriter preferito in quanto entrambi abbiamo la stessa visione su cosa significhi Mangiare Bene. Sogna infatti un mondo senza fast food e cibi spazzatura e, pur rispettando la tradizione, ama accostamenti creativi e avventurosi, basta che il risultato finale sia felice. Detesta quei personaggi, invadenti e maleducati, che si atteggiano a esperti severi e imparziali e invece sono solo dei tromboni, tromboni che come tali fanno del male sia all'eno-gastronomia sia alle persone oggetto della loro critica perché sovente in malafede. Per 27 anni è stata una firma della redazione sportiva del Giornale, testata dove per una ventina di anni ha curato la rubrica Cibi Divini e per una dozzina la pagina Affari di Gola. Autore di diversi libri di cucina è l'ideatore di "Identità Golose" il conosciutissimo congresso di cucina d'autore, giunto alla quindicesima edizione, e anche di Identità Golose, guida ai ristoranti d'autore di Italia, Europa e mondo. Questo è il suo divertentissimo Amarcord.


Da piccolo piccolo sognavo di fare il pompiere o il vigile urbano, da piccolo e basta l'esploratore e una tata, ogni qual volta lo dicevo, rideva e chiosava: l'esploratore sì, ma di cucine.
Image credit: Vecteezy

Tanto mi piaceva viaggiare (e già andare da Milano a Levanto per me era un'avventura, allora bastava mangiare trenette al pesto per vivere i gusti etnici) tanto mi gasava cucinare e mangiare.

Quando nel febbraio del '74, anni compiuti 19, scoprii che un signore svedese di nome Bibbo non era solo l'inventore di certi regolamenti delle gare di sci, ma anche il proprietario di due alberghi nel nord della Svezia esplosi di gioia.Lo cercai e gli chiesi se potevo andare a lavare i piatti da lui. Affermativo. Tre anni di università, tre estati all'hotel Tott a lavare i piatti ma anche a guardare da vicino un vero cuoco all'opera. Non che Ernst, biondo, simpatico e tedesco, fosse un mostro di bravura. Gli si poteva invidiare la facilità di portarsi a letto le ragazze, non tanto quella di preparare manicaretti. Il suo risi e bisi era assolutamente improponibile e il palombo, tutta panna, cognac e scorzette di limone, un qualcosa di indefinito, però ero mille e mille km lontano da Milano e non c'era traccia di genitori pronti a dirmi cosa dovevo fare, naturalmente per il mio bene. Gli italiani piacevano, ma almeno per me non nel sesso senso, piacevano in generale perché gentili, sorridenti, vivi. Al di là di pentole, piatti e posate da lavare, gli altri che lavoravano lassù non perdevano occasione per chiedermi di preparare gli spaghetti. Per loro erano sinonimo di sole e di vacanze. Due spaghi oggi e due domani, pensavo di avere capito cosa avrei fatto da grande: il cuoco in Svezia.Tornato a Milano mi informai su eventuali corsi di svedese alla Statale ma c'era un però: mi piaceva pure fotografare e in fondo frequentavo già da alcuni inverni una redazione, quella di un periodico di sport invernali. Cheffare? Boh.


Per farla breve, una fine primavera riuscii a fissare due appuntamenti all'opposto tra loro. Uno con Mario Gherarducci, redattore capo della redazione sportiva del Corriere della Sera, e un secondo con Alfredo Valli, il grande interprete della cucina milanese. Al primo dissi che ero pronto a coprire eventuali vuoti estivi, al secondo che da settembre avrei pelato patate per lui. Il primo mi chiese se avevo già prenotato le vacanze e mi scappò di dire dovrei partire dopodomani per la Svezia, il secondo si limitò a un rivediamoci dopo l'estate. Morale? Gherarducci mi liberò di ogni impegno però mi chiese se avevo qualcosa di scritto in copia originale da lasciargli così se lo leggeva durante l'estate. Detto e fatto, gli portai alcuni servizi sulla nazionale italiana di sci, compresa un'intervistona al nuovo allenatore di Thoeni e Gros, poi partii per il Grande Nord. Lassù ricevevo in abbonamento il Corriere e un giorno leggo che quel coach innevato aveva idee chiare su come far vincere tutto ai fenomeni della Valanga Azzurra. Strano, le stesse cose dette a me e scritte con le stesse parole. Guardai la firma, trovai una sigla: P.M. Credo che il mio stupore fu pari a quello del primo uomo che scoprì l'acqua calda.In fondo era una grande confusione dinamica: per i miei colleghi svedesi ero un lavapiatti che diceva di fare il giornalista, a Milano invece risultavo un apprendista giornalista che sperava di diventare un cuoco stellato. Da Valli non andai più. In Svezia avevo scommesso con una ragazza di nome Gilla che nel febbraio del '79 mi sarei presentato al Tott Hotel come inviato di sci per la coppa del mondo, non potevo certo chiudermi in una cucina e perdere la faccia con un'amica, quella in particolare. Mi ripresentai invece da Gherarducci per ringraziarlo di avermi pubblicato quella intervista. Mi chiese cosa ne sapevo di calcio perché c'è già chi si occupa di sci, gli risposi tifo Inter, rise peggio per te e mi accreditò per Brescia-Como di serie B. Partitaccia, finì zero a zero ma quella domenica di fine estate '78 capii una cosa: che se avessi fatto il giornalista sportivo, fatto bene intendo, avrei girato il mondo e mangiato ai quattro punti cardinali. Come cuoco sarei invece rimasto chiuso in eterno in una cucina, magari anche a preparare piatti validi ma di certo, visto il mio carattere, a incazzarmi con quei clienti dalle mille capricciose richieste. Riposi il tocco in un cassetto (da allora cucino solo per gli amici, che magari sono anche chef pluridecorati ma è un'altra storia), mi concentrai sullo sport, sci in un posto e calcio al Corriere, e a febbraio '79 mi presentai al Tott. Il caso volle che il tavolo della stampa italiana fosse stato affidato proprio a Gilla. Quando si chinò per l'antipasto, la guardai con il più largo dei sorrisi. Lei quasi fece cadere il vassorio Paooolooooo! You are here!. Scommessa vinta e con essa Gilla. Seguì, per la prima volta, quello che è facile immaginare, ma non solo: insegnai ad Ernst i veri Risi e bisi, poi camminai nella notte tra i pini con lei, bosco polare, bosco innevato, e quando arrivai in Italia vinsi una straordinaria broncopolmonite.

Image credit: Corriere della sera

Ogni gioia ha il suo prezzo. Se scrivo di cucina non è per Gilla o Ernst, per Valli o Gherarducci, scrivo di cucina perché rappresenta la perfetta sintesi di quello che sognavo da ventenne: scrivere, fotografare, viaggiare, mangiare, bere, anche cucinare perché quei miei colleghi che reputano i cuochi dei nemici non hanno capito nulla. Sarebbe come se un gommista odiasse i meccanici, non sono sulla stessa auto?